TOMORR, Tomorr

Il Monte Tomorr è una montagna che sovrasta il distretto di Berat, in Albania; l’indicazione geografica è necessaria per comprendere le origini del nome scelto dalla band di Empoli e anche per seguire il percorso di riscoperta di una tradizione che ne permea l’intero immaginario.

Il tutto prende il via dall’amicizia decennale tra il cantante Jmeister (originario appunto di Berat) e gli altri due componenti dei Tomorr: Mostro e Chero. Dal sodalizio nasce una comune passione per il folklore albanese che ha avuto come culmine un viaggio con tanto di partecipazione ad una festa locale della comunità bektashi (ordine islamico di derivazione sufi), che prevede la visita alla tomba del santo Abaz Aliu, situata proprio sul Monte Tomorr.

Attorno a questa ricerca i tre costruiscono un percorso musicale che si ispira alla lentezza e alla fatica della vita delle comunità ancora legate all’agricoltura e distanti dall’affanno della società occidentale, seppure sempre più relegate e isolate ai confini della stessa. Per rendere queste suggestioni in note, la musica della band si sviluppa attorno a profonde bordate di basso e a ritmi tribali da cui prende vita un’interpretazione del linguaggio doom dotata di personalità e ricca di suggestioni interessanti anche a livello sonoro.

A cercare dei punti di riferimento, si potrebbe parlare di uno strano ibrido tra la potenza degli Omega Massif, l’oscurità abissale dei Black Shape Of Nexus e la riscoperta delle proprie radici cara ai mai troppo rimpianti Negură Bunget. Il tutto viene tuffato in un doom ricco di variazioni e cambi di tempo, in grado di mutare forma più volte e offrire differenti prospettive da cui osservare la realtà descritta. A tratti fanno la comparsa anche crescendo e cavalcate psichedeliche che richiamano l’incedere dei Neurosis, senza per questo perdere mai di vista la coesione che permette al disco di crescere di intensità e ritmo con lo scorrere dei brani (sul finale di “Terra” si avvertono persino riverberi da Rancho De La Luna).

Il tutto si chiude con “The 1001 Windows Village”, che rappresenta un po’ la summa dell’intero arsenale in dotazione ai Tomorr e fa scorrere i titoli di coda su un debutto che colpisce l’ascoltatore e lo attira all’interno del proprio “rural doom”, come loro stessi amano definire la propria musica. Fa davvero piacere notare come ciò che per il mondo la fuori è semplice rumore, in realtà si rivela più spesso di quel che sembri un prezioso spunto di riflessione oltre che una spinta ad allargare i propri orizzonti e il proprio bagaglio culturale. Se il buongiorno si vede dal mattino e se le coordinate del trio rientrano nel vostro menù quotidiano, questo è un nome da appuntarsi al volo.