TIZIANO POPOLI, Burn The Night/Bruciare La Notte: Original Recordings, 1983–1989

Popolo di santi, navigatori e irrimediabili distratti o smemorati, così si potrebbero definire gli italiani, parafrasando un famoso adagio: non si sa perché, infatti, debbano essere sempre gli stranieri a valorizzare talenti nostrani. E no, non stiamo parlando di cervelli in fuga (l’artista in questione, il modenese Tiziano Popoli, risiede ancora in Italia, anche se al confine con Svizzera e Austria, per la precisione a Bolzano, dove insegna informatica musicale al locale conservatorio), ma di un misconosciuto e semi-dimenticato compositore, attivo tra avanguardia e sonorizzazioni per il cinema sin dai primi anni Ottanta.

Diplomatosi a Bologna con la tesi “Teoria ed Utilizzo delle Apparecchiature Elettroniche in Musica” e successivamente laureatosi discutendo della “Vocalità nella Musica Elettronica di Bruno Maderna”, Tiziano Popoli è assoluto outsider stilistico della scena felsinea di inizio Eighties, attorno a cui comunque gravita (come dimostra la collaborazione coi Gaznevada in “Japanese Girls”, in cui suona le tastiere): Burn The Night/Bruciare La Notte: Original Recordings, 1983–1989 raccoglie quattordici pezzi che lui stesso aveva quasi dimenticato. Non si faccia però ingannare il lettore/ascoltatore: la qualità del materiale riscoperto e pubblicato dall’etichetta statunitense Freedom To Spend è di indubbio valore.

La raccolta si dimostra dunque perfetta fotografia di un preciso momento storico: l’iniziale “Svelf” gioca, infatti, tra cultura accademica e suggestioni popular, mischiando lirismo classico, ritmi e atmosfere wave e campioni di una sensualità incerta. Gli otto minuti di “Iuno-Wenino” innestano invece giocosità bambinesche su reiterazioni minimaliste e sintetizzatori sorprendentemente carnosi. Due caratteristiche della musica di Popoli che tornano anche in altri brani: i rimandi a un’infanzia curiosa e calda li ritroviamo in quella perla che è “Blues Padani” (dove a essere campionata è addirittura la voce automatizzata dell’iconico gioco istruttivo Sapientino), mentre “Minimal Dance” tiene fede al proprio titolo e prosegue nell’approfondimento delle dinamiche sonore sviluppate de LaMonte Young, Charlemagne Palestine e Terry Riley, aggiungendovi però le fascinazioni metropolitane, decadenti e mitteleuropee del Bowie berlinese.

La lunghissima “Mimetico Erettile” incrocia Laurie Anderson e Giovanni Fusco (storico collaboratore di Antonioni), mentre il caos di sample (persino una preghiera) disorganizzati sulla scheletrica “Se Son Rose Fioriranno” evoca versioni meno vorticose di una plunderfonia appena nata (“L’Amour Fou”, per esempio, anticipa quasi Økapi e suona non lontana dagli esperimenti coevi di Holger Czukay o della coppia Eno/Byrne, spogliati però dai rimandi world).

La titletrack sembra guardare a una certa tradizione sacrale e latina tutta italiana, contaminandosi con suggestioni synthetiche che immaginano una versione DIY dei Tangerine Dream più cinematografici, mentre il soul bianco e tenebroso di “Night Flight” amplia una tavolozza sonica personalissima e visionaria, ecco perché non possiamo che rimpiangere di esserci fatti sfuggire tanto a lungo un artista di tale pregiata caratura.