THE UTOPIA STRONG, International Treasure

Kavus Torabi, Michael J. York e Steve Davis sono i nomi dietro al progetto The Utopia Strong, che affida a Rocket Recordings questo International Treasure dopo aver esordito sempre su quest’etichetta con l’album omonimo del 2019. Nel frattempo i tre aveano pubblicato autonomamente altri tre lavori: Dreamsweeper, Alphabet Of The Magi e Ninth Art, tutti del 2020.

I riferimenti che gli Utopia Strong chiamano in causa sono Tim Hecker, The Necks e Bohren Und Der Club Of Gore; se questo non dovesse bastare a darvi un’idea della loro musica, un gigante dell’elettronica britannica come Andrew Weatherall li definì gnostic sonics in a nutshell, espressione di difficile traduzione, ma che rende bene l’idea. Un’elettronica gnostica, in odore di meditazione e spiritualità assortite, che non può non scomodare i classici riferimenti a kosmische musik, Berlin School, Brian Eno e via dicendo: i drone ambient albeggiano nell’iniziale “Trident Of Fire” e i synth gorgheggiano in “Persephone Sleeps”, percorsi che portano all’enigmatico muro di suono di “The Shepherdess”, attraversata da venature jazz-core. “Spirits From The Deep” indugia su tastierine giocattolo, “The Islanders” campiona singhiozzi di gabbiani e balbettii umani, “Disaster 2” è una bordata di zampogne e synth, mentre “Revelations” è inquinata via via da rumori industrial, dopo una partenza in sordina su una traccia di pianoforte. La title-track si dilunga ancora in tastiere e fiati post-kosmische, mentre il finale di “Castalia” vira verso una techno danzereccia, con basso tremolante e violini gigioni, in forte contrasto col resto del disco.

Gli Utopia Strong stimolano sensazioni antiche con suoni moderni, per riprendere la definizione di Weatherall, nell’eterno intreccio tra arcaico e futuristico, roba che Aphex Twin, Boards Of Canada e Autechre conoscono bene. Tuttavia, International Treasure ricorda anche le malinconie da Atlantico settentrionale di múm e di certi Sigur Rós (riascoltare “Hlemmur Soundtrack”), dove l’elettronica veniva spesso accostata a violini, corni francesi e altri strumenti orchestrali, così da creare in altro modo il contrasto tra epoche diverse. Una sfida non particolarmente originale, ma vinta con gran classe.