Storm{O}

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Una nostra vecchia conoscenza torna dopo ben cinque anni di assenza (almeno in studio) e lo fa con un album che rimescola le carte nel mazzo, per offrire all’ascoltatore un’esperienza che parla di inevitabili cadute e discese negli abissi. In fondo, basta solo ricordarsi che “il problema non è la caduta ma l’atterraggio” (La Haine, 1995)

Era un po’ che non usciva un vostro lavoro (cinque anni fa lo split su Cynic Lab), che cosa è successo in questo tempo?

Giacomo (chitarra): Tre anni fa è successo che il nostro primo batterista ha deciso di smettere di suonare, con un album in cantiere, pronto per essere registrato. Certo, era già dal 2008 che un paio di etichette ci facevano pressione affinché registrassimo un full length e noi, temendo dei fare un passo falso, ci avevamo impiegato ben tre anni per raccogliere le idee ed organizzarle in maniera organica. Eravamo più impegnati a girare la penisola e non solo, a quei tempi, in cui facevamo ancora tutti le scuole superiori. Poi nel 2011 c’è stato questo periodo di quattro/cinque mesi di stallo, in cui praticamente abbiamo passato al vaglio un batterista o due, senza arrivare a conclusione alcuna. Un gruppo si scioglie (i Wrath Prophecy) e il loro batterista, amico di vecchia data, si fa avanti. Ricominciamo da capo, difficile/impossibile/inutile ri-arrangiare i pezzi composti con il batterista precedente, che era iper-free, che faceva tutto a memoria, senza alcuna apparente logica strutturale, veramente tutto il contrario di Gabriele, l’attuale batterista, che ha dato subito una svolta più quadrata alla stesura di ogni nuova canzone. Sicché solo quattro pezzi del vecchio materiale sono finiti nel disco appena uscito: “In Volo”, “Meditazione Sulle Eterne Massime”, “Human 2.0”, “Per Le Tue Lacrime”. Il primo concerto con la nuova formazione è stato quello all’Ultimo AntiMTVday e ad oggi abbiamo suonato in Francia, Austria, Germania, Svizzera, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, provando dal vivo questo nuovo disco per quasi due anni prima di registrarlo.

Non è che, comunque, siate mai stati un gruppo prolifico dal punto di vista discografico: un ep, uno split e ora l’album in sette anni. Una scelta ponderata o una scarsa predisposizione a rinchiudersi in uno studio di registrazione?

Giacomo: Sicuramente in passato non abbiamo avuto una gran predisposizione a rinchiuderci in studio: insicurezza, perfezionismo e pressioni esterne non hanno giocato a nostro favore nel prendere una decisione che sarebbe dovuta essere più che naturale. Ora però stiamo cercando di invertire la tendenza, infatti abbiamo già registrato la pre-produzione di quattro pezzi nuovi, tutti sotto i due minuti di durata, al MalDeTesta, lo studio di un nostro grande amico, che suonava la batteria nei leggendari Controllo Elettronico Della Velocità. In più abbiamo ancora altri due brani nuovi pronti, quindi contiamo di far uscire un altro disco entro l’anno prossimo!

L’album appena uscito ha un titolo decisamente particolare, da cosa nasce e cosa lo ha ispirato? Non credo che le parole abbiano per voi il semplice ruolo di riempitivo, giusto?

Giacomo: Il titolo è preso dall’ultimo verso di “Delle Nostre Vite Appese”, testo emblematico del disco intero.

Luca (voce): Decidere il titolo dell’album è stato abbastanza difficile, volevamo qualcosa che racchiudesse un po’ il significato di tutto il disco, che pur non essendo un concept album ha un filo conduttore abbastanza chiaro. Il testo di “Delle Nostre Vite Appese” può sintetizzare in un certo modo tutti gli altri, soprattutto nella parte finale, dove sono accostati i concetti chiave attorno ai quali ruota tutto, se non altro per quanto riguarda i testi: il vuoto delle macerie di ciò non esiste più, la sospensione e l’immobilità opposta al bruciare ed al crollare ed un cerchio che “sarà chiuso”, una tensione al trovare un significato, alla completezza che non arriva mai. Ci è sembrato un buon titolo.

Ecco. Anche dal punto di vista dei testi, il disco sembra seguire un percorso ben preciso e toccare alcuni temi ricorrenti. Nella recensione ho parlato di un lavoro che, pure dal punto di vista musicale, ricorda una continua lotta per non cadere, per non cedere alle ferite, in questo profondamente umano nel suo palesare le proprie debolezze…

Luca: Più che una lotta per non cadere, io ci vedo un relazionarsi all’inevitabile caduta, un’analisi delle imprescindibili ferite derivanti dai rapporti interpersonali, dalla semplice necessità di interfacciarsi con qualcosa di diverso da sé. Vedo i testi del disco come la rappresentazione di momenti in cui questo decadere e disgregarsi dell’uomo si è mostrato più evidente che mai, spogliati delle loro connotazioni temporali e particolari per diventare quasi le battute di un dialogo tra me e la caduta.

Giacomo: Se guardi anche solo la tracklist, si parte da “In Volo”, passando per “Perché La Bambina Cade”, subito dopo c’è “Sorridendo (Alla Possibilità della Caduta)”, poi “Delle Nostre Vite Appese”, per arrivare a “Per le Tue Lacrime”, che parla di annegamento. Sostanzialmente, a partire dal primo pezzo, che è ambientato in aria, con una parabola discendente si va a finire con l’ultimo ambientato nell’abisso. Una sorta di metafora anche della vita, dalla nascita alla morte.

La vostra musica sembra oggi meno folle e caotica, nel senso che si avverte una maggiore apertura, seppure sempre integrata nel vostro tipico songwriting. In qualche modo c’è una componente emotiva/sofferta più in evidenza anche nelle vocals. Mi sbaglio?

Giacomo: È proprio così, col passare degli anni gli ascolti cambiano e con l’arrivo del nuovo batterista c’è stato proprio quel mutamento che cercavamo: una forma-canzone più definita, un maggiore tiro e una tendenza al semplificare piuttosto che al complicare, ridurre all’osso le idee, piuttosto che divagare. Questa riduzione non è stata solo la maggior spinta produttiva a livello strettamente compositivo-musicale, ma anche a livello lirico in senso più ampio, infatti si è ricercato un modo di esprimersi più personale, meno legato ad un canone già consolidato, scavando dentro di sé.

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Le chitarre mi sembrano ancora più metalliche, stridenti e noisy, un contrasto ricercato/voluto? Sentite come vostro questo dualismo carne/metallo, calore/freddo, che intravedo nel vostro suono?

Giacomo: Certo, abbiamo portato avanti, approfondito, interiorizzato l’eterogeneità che dal primo giorno in cui abbiamo preso degli strumenti in mano perseguiamo. L’alternanza tensione/calma contraddistingue la nostra personale strada compositiva fin dal primo demo del 2007. Io sono sempre alla ricerca di nuove soluzioni armoniche e dinamiche, cerco di non ripetermi mai, anche solo a livello stilistico. Sono spinto dalla curiosità della sperimentazione, più che dal compiacimento della formula compiuta.

Il disco esce in vinile come coproduzione tra varie label, chi avete voluto coinvolgere e come mai avete comunque deciso di renderlo disponibile anche in modalità name your price su Bandcamp? Che rapporto avete con la rete?

Giacomo: Scarico dischi ogni giorno e non potrebbe essere altrimenti, da quando ho tredici anni e c’erano Vitaminic, Soulseek, Emule. La fruizione della musica, della cultura, delle nuove idee, dev’essere gratuita, diretta, veloce, alla portata di tutti. Per questo su name your price puoi metterci zero! Eppure c’è chi ha messo 4, 10, 15 Euro senza nemmeno volere il vinile. La coproduzione ha coinvolto chi principalmente si è interessato a noi, abbiamo cercato di distribuire il disco in maniera capillare, così da riuscire poi a suonare anche il più possibile in giro: queste piccole label organizzano concerti, festival, smuovono, pensano a come promuovere un disco a livello pratico, dal vivo, non solo virtualmente.

In generale, credete esista ancora un circuito di persone al di fuori della rete che si supporta e aiuta a vicenda? Quanto credete che i social network abbiano cambiato l’approccio delle persone alla musica in termini di agire pratico (addetti e semplici appassionati)?

Giacomo: Credo che al giorno d’oggi, rispetto anche solo a dieci/quindici anni fa, sia molto più semplice riuscire a suonare in giro, attraverso la rete, ad organizzarsi dei tour DIY. È diventato più semplice farsi conoscere, farsi notare. Credo che il circuito di persone che va ai concerti e li organizza sia ancora ben solido. Ripenso anche solo poco tempo fa al Rivolta di Marghera: per il release party dei Danny Trejo e il concerto dei Vitamin X c’erano quattrocento persone.

State promuovendo il disco dal vivo? Quanto conta per voi l’aspetto live e come vedete la situazione concerti/locali in Italia al momento?

Giacomo: Stiamo cercando di esserci il più possibile, ci stanno chiamando un po’ dappertutto e spesso, ma tra lavoro, famiglia e università, non sempre riusciamo a conciliare le priorità individuali che ogni membro di questo gruppo ha. La situazione in Italia e anche all’estero ci sembra davvero florida, onestamente, soprattutto considerando l’aria un po’ stantia che respiravamo prima che uscisse il disco.

Grazie mille per il vostro tempo, lascio a voi le parole finali…

Giacomo: No, grazie a te Michele, per la bella intervista e per il supporto che da sempre ci dai!