STEFAN CHRISTOFF, Inner Lands

Lande interiori: un titolo che è già un programma quello di una delle ultime produzioni di Stefan Christoff, musicista di base a Montreal ma di origini macedoni, che negli anni ha lavorato con moltissimi artisti (Lori Goldston, Sam Shalabi, Adriana Camacho…). Nella sua musica e nei suoi album (spesso pubblicati su nastro da etichette minuscole, a creare una fitta rete di meraviglie) il riferimento più costante sembra essere il cielo. L’aria, quella levità che si esprime a mo’ di vento, che contiene in sé l’acqua che talvolta scroscia dalle sue tracce. Così accade all’inizio, in “Sounding Worlds 1”, registrato insieme al fratello Jordan sulle rapide del Sooke River nella British Columbia, per un brano che è ottundente ed elegantemente melodico, senza peso. Si conclude però con dei passi, che ci riportano dritti sulla superficie terrestre. Il secondo episodio è un solo di piano squillante e notturno, a suo modo romantico, base per degli interventi sonori per il progetto Silver Moon X condiviso insieme a Julia E. Dick. In “Burgas” c’è un vecchio organo suonato sopra a delle percussioni meccanizzate: giro dopo giro l’organo si ispessisce fino a creare un’ubriacante sensazione, quasi fossimo alle prese con un enorme carillon che nessuno crede sia giusto fermare. “Chaiga Rmixed” è anch’essa forte di un mood aereo: creata grazie a dei microcampionamenti di musica balcanica e di spezzoni di film, si muove attraverso una sorta di vento gelido per una decina di minuti. La chiusura è affidata ad “Haunted Land”, riflessione sui territori sottratti agli indigeni americani. Inner Lands è un album discontinuo che bisogna apprezzare per l’apertura delle possibilità messe in atto da Stefan Christoff, ad aprire temi e sensazioni in perenne bilico fra politico e poetico.