RUSTIN MAN, Drift Code

Dopo la morte di Mark Hollis, per qualche tempo non ho voluto ascoltare altro che il suo disco solista o gli ultimi due dei Talk Talk. Non mi era mai accaduto di piangere per la scomparsa di un musicista. Ricordo che mi aveva molto colpito da ragazzo la casualità di aver comprato l’ultimo disco di Johnny Cash, quello con dentro la cover monumentale di “Hurt” dei Nine Inch Nails, proprio il giorno in cui avrei scoperto che era morto. Shangai di eventi, piccole coincidenze senza reale importanza che divengono però ingredienti insostituibili nel comporre la nostra futile e privatissima mitologia personale, quella storia sottintesa che ci tiene in piedi, o sdraiati quando il mondo fuori diventa troppo. Mi sono avvicinato a questo secondo disco di Rustin Man quasi con timore, con circospezione, desiderando (e avendone paura) gli stessi brividi profondissimi e muti che il capolavoro di Hollis o gli ultimi due Talk Talk hanno regalato a tanti di noi. Non è così, non può essere così, e forse quest’idea era dovuta ad una paura radicata della morte o ad una difficoltà estrema mia, e forse dell’uomo occidentale in generale, a lasciare, a lasciar andare, ad accettare il fatto che tutto passa, e finisce. Non è una circostanza fortuita che io abbia la casa letteralmente tappezzata di cd (sì, sono un feticista del cd, problemi?): posso in questo modo procrastinare la fine, posso rivivere mondi, sensazioni, ricordi, restare appeso alle storie, a una storia. Fino a consumare completamente il solco e l’altrettanto metaforica puntina. Ora, questo secondo lavoro di Paul Webb, a ben diciassette anni di distanza dal capolavoro Out Of Season, firmato assieme a Beth Gibbons, è un disco a cui tornare, come sempre nel caso di questi musicisti benedetti da un talento infinito. Apparentemente semplice, ma in realtà denso di una lieve e profonda complessità. Nove i musicisti coinvolti e ampio l’arsenale di strumenti utilizzati: tra gli interpreti spicca Lee Harris, già batterista della band di Laughing Stock e Spirit Of Eden, ma soprattutto sodale di Webb nel magico duo O’Rang (recuperate assolutamente i loro due dischi Herd Of Instinct e Fields & Waves).

Dalle nebbie fuori dalla moda e fuori dal tempo di Out Of Season emerge la compita promessa di “Vanishing Heart”, tratta in porto da un pianoforte dimesso ed essenziale, da armonie vocali e orchestrazioni lievissime, accorate, perfette. “Judgment Train” è  una murder ballad come un Nick Cave in un teatro di ombre ad inizio Novecento, “Brings Me Joy” una preghiera che stacca un inno lento e vagamente allucinato a un cielo dove batte un sole Wyatt. Se “Our Tomorrows” suona come una versione northern soul di Nina Simone in combutta coi Doors, “Euphonium Dream”, invece, come da titolo imbastisce un arrangiamento di nuvole di tastiere, percussioni, archi, fiati, per restituire proprio l’indicibile sapore di un sogno, che si interrompe quando meno te lo aspetti. Un ordito di velluto black sghembo e raccolto su cui fioriscono gemme popedeliche (“The World’s In Town”), oppure pugnace e minimale (“Light The Light”): tutto viene sempre suonato con una delicatezza potentissima, che non lascia scampo. Ogni minimo dettaglio di scrittura e arrangiamento emerge in tutto il suo nitore (le tastiere Sixties, bave di fiati, le spazzole, vapori di chitarra col wah wah): la voce porge ogni canzone con una grazia dimessa, come stringendo tra i denti un senso del dramma asciuttissimo, trattenuto, colmo di un soul metaforico, metafisico, reale. Anima, è questo che gronda da queste nove tracce. Profili barrettiani (“Martian Garden”) e scatole che contengono oceani (“All Summer”, come una risposta a un mare e a una vita di distanza al disco solista di Dennis Wilson… già… l’altro Beach Boys). E questo è solo quello che ci abbiamo trovato in una domenica sera di fine marzo. Tornandoci, e vale davvero la pena di farlo ancora e ancora, chissà cos’altro potremmo vedere. Un lavoro autunnale, elegiaco, cesellato in ogni minimo dettaglio, da un’ispirazione fragile e monumentale e che, ancora una volta, apre il sipario su nostalgie, endless summer(s), paure, racconti, amori: mondi. The party is (not) over.

Tracklist

01. Vanishing Heart
02. Judgement Train
03. Brings Me Joy
04. Our Tomorrows
05. Euphonium Dream
06. The World’s In Town
07. Light The Light
08. Martian Garden
09. All Summer