Plum Green o qual è lo spazio dei sogni

Per fortuna ancora oggi, tra schermi e distanziamenti, uno può scoprire un disco grazie agli amici giusti, quelli che ti conoscono nel mondo reale, con cui scambi idee e che sanno che consigli darti. Plum Green si trovava già nel cestone cyberspaziale (tipo Autogrill) con dentro i promo della webzine, tra l’altro proposta da qualcuno di cui ci fidiamo ciecamente, ma questo colossale, ingestibile quantitativo di roba, unito a scadenze e altre noie, fa sempre più danni, seppellendo roba buona sotto quella inutile.

Plum Green oggi vive a Melbourne, in Australia, e ha pubblicato Somnambulistic grazie alla statunitense e non troppo conosciuta Nefarious Industries. Non si tratta del suo primo disco, ma è quasi certamente quello con cui ha mosso per bene le acque, dato che è stato recensito parecchio e le ha portato anche qualche richiesta di intervista. Il tema qui, lo si capisce già dal titolo, è il subconscio. Non siamo lontani dalle care, vecchie idee romantiche: gli occhi non vedono davvero, dice lei a un certo punto, e non è necessariamente il giorno il momento in cui vivere. I pezzi si muovono lentamente, come ovvio trasognati, e in questo momento mi viene in mente il comunicato stampa che porta a casa il risultato con un semplice ma onesto dark lullabies. A guidare è la chitarra acustica, immersa in una specie di nebbia proveniente da una chitarra elettrica piegata in chiave ambient e da campionamenti, una soluzione che crea veri e propri scenari più o meno irreali intorno a Plum Green e che si deve all’apporto dato da Daniel Cross, che ha prodotto il disco insieme a lei. Assenti, di fatto, le percussioni. La voce suadente (sentire “Raspberry Vine” ed “Eyes Shut”), controllata ma fragile (sentire “Walk Against The Wind”), è senza dubbio un punto di forza, ma a funzionare sono i brani nel loro insieme, sia dal punto di vista delle melodie, sia per come sono arrangiati. Qualcuno ha parlato dei Mazzy Star, non senza le sue buone ragioni, mentre io tendo sempre a pensare a Liz Harris (Grouper) e Jessica Bailiff, anche se questa volta forzerei molto se le dessi come unici riferimenti, perché Somnambulistic rimane piuttosto ancorato alla forma canzone e non nasconde tutto in un mare di riverberi ed effetti. Si tratta a suo modo di un lavoro coeso, coerente (parole, musica, immaginario) e credo sia grazie a questo è entrato nella testa di tutti quelli che lo hanno ascoltato.

Quando un musicista underground – senza mezzi se non l’autoproduzione o quasi – ha in mano un disco così buono, ma non lo conosce ancora bene nessuno, è giusto dargli spazio. Di seguito l’intervista.

Hai vissuto in Inghilterra, Nuova Zelanda e Australia. Dove hai iniziato ad ascoltare e a fare musica? Un paesaggio o una città hanno influenzato il tuo sound?

Plum Green: Wellington (Nuova Zelanda) è una città molto fredda, piovosa, incastrata tra mare e molte colline. Di solito sedevo sui gradini di cemento fuori dalla mia scuola superiore col vento che mi soffiava in faccia e credo che probabilmente questo mi abbia indotto a creare musica soft e ombrosa.
Nel momento in cui ho traslocato a Melbourne il modo in cui io pensavo e scrivevo musica era già piuttosto stabile. Nonostante sia una città molto più calda, d’inverno si congela, quindi sto diventando ancora più cupa, anche se forse dipende solo dal fatto che sono più vecchia e più cinica.

Somnambulistic sta ottenendo l’attenzione che merita. Non è il tuo primo disco. Cosa dovremmo ascoltare della tua discografia?

È stato difficile in questi anni per me ottenere registrazioni che suonassero in un modo che mi soddisfacesse. Dei miei dischi mi piace Karma. In ogni caso vado fiera soprattutto di Somnambulistic, lo amo. Sembra di aver reincontrato uno dei tuoi migliori amici, uno di quelli che non vedevi da tanto tempo. Tendo sempre ad affezionarmi alle canzoni che scrivo, ma fino a poco tempo fa ho faticato molto con il processo di registrazione e per trovare l’intesa con le persone con cui lavoro.

Collabori con Daniel Cross. Chi è? È coinvolto anche nel songwriting?

Daniel è stato per anni assieme a me in una band. È un musicista, un produttore, un autore e in generale un artista fantastico. Daniel ha avuto un ruolo importante nel dar forma al disco sin dall’inizio. Io ho scritto gli scheletri dei pezzi: testi, melodie vocali, le parti di chitarra. Dopo aver concluso i demo con la mia chitarra, glieli ho fatti sentire e abbiamo discusso su come avremmo voluto che ogni canzone suonasse una volta terminata, e su come avrebbe dovuto adattarsi al concept dell’album. Abbiamo fatto delle prime registrazioni, poi lui si è chiuso nel suo studio di notte ed è stato ore ad ascoltarle, sperimentando con le atmosfere, con la chitarra elettrica e l’archetto. Molte di queste sue sperimentazioni sono diventate parte dell’album.

Sei una songwriter. Probabilmente puoi suonare i tuoi pezzi solo con la chitarra acustica, ma molti miei amici hanno apprezzato proprio il lato atmosferico della tua musica (quello di cui hai appena parlato), cioè come la chitarra elettrica e gli effetti hanno creato un ambiente intorno a te. Ascolti ambient music? Ti interessano artisti il cui lavoro è distante dalla forma canzone tradizionale?

Potrei proporre i miei pezzi da sola, ma sono decisamente molto più interessanti con Daniel. Ottiene suoni incredibili con la sua chitarra. Ascolto ambient music, tutto il tempo. Mi interessano gli artisti che non seguono le strutture tradizionali, ma non solo. Ascolto di tutto, eccetto il nu metal e quegli intermezzi pop rap durante le canzoni pop che senti al supermarket (mi vien da prendere gli speaker a colpi di mazza da baseball). Tutti sembrano sempre disprezzare la musica country, ma tra i miei artisti preferiti ci sono Dolly Parton e Bonnie Raitt.

Sonnambulismo, sognare, occhi chiusi, ascoltare il subconscio (tutti temi che emergono dai testi)… pensi che seguiamo troppo i nostri pensieri razionali?

Sono dell’idea che il nostro subconscio controlli i nostri comportamenti più di quanto crediamo, ad esempio come mangiamo e beviamo, le cose che diciamo. Detto questo, penso che i nostri sogni rispecchino le nostre vite da svegli e non il contrario. Non guardo troppo ai sogni, se non per aiutarmi a leggere la mia vita cosciente, le mie relazioni e i miei comportamenti. Adoro sentire le descrizioni dei sogni, almeno finché la storia è lineare e non si parla di quadrati arancioni o di cose tipo “quella persona eri tu ma non eri tu”, perché lì diventa tutto di una noia mortale.

Sto ascoltando molto il tuo album e sto dicendo ai miei amici e collaboratori di ascoltarlo. Di frequente Hope Sandoval e Mazzy Star entrano nelle nostre conversazioni su Plum Green, e mi sono accorto che succede anche nelle recensioni: conosci la band? O l’hai ascoltata per curiosità dopo i paragoni?

Un paio d’anni fa una mia cara amica mi chiese di realizzare una cover di “Fade Into You”, così mi sono messa a cercare e l’ho studiata per fare un video per lei. Questo è il mio livello di conoscenza della band, ma amo la voce di Hope Sandoval. Ci sono alcuni elementi della musica dei Mazzy Star nella mia, il che predispone una certa atmosfera e un certo mood, nonostante io pensi che le voci siano diverse.

Quanto ti manca suonare dal vivo? Riesci a immaginare un mondo in cui si fa musica solo in studio?

Mi manca così tanto suonare live. Ci hanno cancellato il tour europeo del 2020, più tre festival, di cui uno da headliner. Infiniti concerti annullati. Spezza il cuore ogni volta e al momento è difficile pianificare qualunque cosa. Vorrei davvero che le cose tornassero come prima. Stiamo tentando ora di organizzare un tour europeo più avanti nell’anno e ci spero molto. Non posso immaginare di non andare in tour. In passato ho sbagliato a sottostimare l’importanza della musica registrata, concentrandomi molto sul suonare dal vivo. È importante mantenere un equilibrio tra i due aspetti. Abbiamo ottenuto che Somnambulistic suonasse in un certo modo per via dell’attenzione e della creatività avute in studio e desidero continuare a lavorare a questo livello con la musica per i miei album.