PHILIP SAMARTZIS, Atmospheres And Disturbance

Philip Samartzis, sound artist australiano residente a Sidney, sfida le altezze del massiccio dello Jungfrau e relativa Stazione posta a 3450 metri d’altitudine. In questo contesto, lungo un periodo di quattro settimane, ricerca, registra ed annota lo sforzo, le tensioni e le pressioni naturali, antropogeniche e geofisiche che le costruzioni e la montagna sopportano, sottoposte all’andirivieni di turisti, alle modifiche climatiche, alle operazioni di trasporto ed agli sport ricreativi praticati in regione.

Quel che si percepisce, calandosi nel Canton Berna su questa cima maestosa, è il disfacimento. Un disfacimento acustico che accentua gorgoglii, tensioni strutturali, perdite e disgregazione (“Wind”).

Una recente ricerca ha dimostrato come la massa persa dalla totalità dei ghiacciai elvetici in un anno potrebbe riempire una piscina di 25 metri per ogni economia familiare svizzera. Scolature, rintocchi, segnali. L’unione di fredde sentenze meccaniche accanto al decadimento naturale crea una strana sensazione di circolarità: qualsiasi intervento provocato dall’uomo crea un processo che stressa e dà fastidio alla terra. Per quanto preciso, a fin di bene, magnanimo esso sia. Proprio per questo il suono sintetico fa accapponare la pelle, come se ci mostrasse delle coltellate date al terreno stesso. In “Stations” loop incattiviti, piani sequenza ed altezze differenziate aprono squarci sonori che riescono a raccontare la sofferenza silente di un paesaggio che non vediamo. “Melt” risulta invece agghiacciante nel suo eterno gocciolare, accompagnata da arrembanti orchestrali atmosferici e dalla pioggia, che ne allunga il lacrimare rendendolo nascosto ed ancora più sofferto, facendoci rimanere quasi senza respiro per la delicatezza. Poi le bestiacce, quelle crepitanti voci confuse degli umani, gli annunci SBB che per anni hanno caratterizzato i nostri viaggi su e giù per il paese, risuonano quasi aerei e mondati dal loro utilizzo pratico. Si lascia il piano e si discende in “Tunnels”, in cui suoni abrasivi risvegliano ricordi rumorosi e dolorosi fino a spandersi in un immenso bianco, dove il tutto sembra ridursi a punti sparati verso un orizzonte invisibile. Anzi, visibilissimo, tanto che le distanze sembrano venir meno e tra aerei, pioggerellina, venti e ciocche di mandrie il tutto sembrerebbe ridursi al rientro ad altitudini più consone, dove dimenticare quanto assunto a monte.

Philip Samartzis riesce, in una quarantina di minuti, a metterci di fronte alla bellezza e al degrado, facendo vibrare ciò che sta intorno a noi. Ritagliatevi questo spazio, oppure createne uno vostro, con una storia, un ricordo, un’affezione. Fatelo, ne varrà la pena.