PÅL KÅRES ELEKTROSHOP, Wooden Glory

PÅL KÅRE’S ELEKTROSHOP, Wooden Glory

Stralci di vita concreta risuonano edulcorati da elaborazioni di elettronica spinta, in questa produzione targata Hubro, etichetta norvegese che grazie a uno straordinario e variegato catalogo è ormai un punto di riferimento per le produzioni di frontiera.

Pål Kåres Elektroshop sono il batterista Pål Hausken ed il poliedrico Kåre Christoffer Vestrheim, compositore, performer e produttore di riferimento della scena nordeuropea d’avanguardia e non solo: tra i molti lavori su cui ha messo le mani ci sono alcuni dei 27 album dei Motorpsycho.

Il duetto, in questo Wooden Glory, mette in scena uno scontro dialettico, una specie di scambio tra il mondo reale, fatto di suoni naturali, non filtrati, puri e uno scenario totalmente artificiale. Legni, pelli e campioni acustici d’ambiente sono sporcati, stropicciati da rocamboleschi e quanto mai inconsueti inserti di synth. La relazione tra i due universi sonori genera una sorta di narrazione impossibile, la sceneggiatura di un rapporto problematico, per tanti versi critico, dove la coesistenza tra le due istanze è sempre creatrice di ibridazioni stimolanti che passano da suggestioni metafisiche, cristallizzate a luoghi timbrici più sguaiati, talvolta persino grotteschi. Cortocircuiti sonori si ripetono grazie a improbabili rinvenimenti di archeologia timbrica che sembrano arrivati direttamente dalla preistoria dell’elettronica, seguiti dal cinguettare soave di volatili e scricchiolii di betulle svettanti nel cielo terzo di un’inconsueta primavera norvegese.

Il lavoro ha un che di artigianale, i suoni sembrano cesellati e incastrati in un missaggio reso complesso dalla differenza cromatica in campo e decisamente ben riuscito. S’intuisce il bisogno di restituire all’ascoltatore una elaborazione artistica autentica tanto che tutto l’insieme prende una connotazione decisa, un carattere intenso, forte. È evidente una sorta di vocazione istintuale per la ricerca, Pål e Kåre lavorano in un contesto dov’è facile cadere in errore, dove il rischio di ripetersi è altissimo. L’elektroshop che i due istrioni propongono è un mercato all’aperto fatto di visioni elettroacustiche concepite in due settimane di sessioni di registrazione “lontano da dio e dagli uomini” nella sperduta campagna di Østfold, cittadina situata appena nell’entroterra norvegese.

Wooden Glory è anche un lavoro di improvvisazione che però tende ad allontanarsi da un qualsivoglia canovaccio preconfezionato, avvicinandosi continuamente ed il più possibile ad una misura di sintesi possibile, buona per entrambi i musicisti. È come se l’obiettivo principale fosse quello di trovare una specie di tabella di conversione che possa dar vita ad ambienti sonori validi sia per un linguaggio prettamente acustico, quasi esclusivamente percussivo, sia per un altro, più artificiale, fatto da sequenze elettroniche e modulazioni sintetizzate. Il risultato è un lavoro per tanti versi indecifrabile, come fosse una raccolta di frammenti che, come nella struggente quanto inafferrabile atmosfera del brano “Zen & Martin” mantengono uno stato di continuo fermento, sono semi di letteratura (Novalis). In un certo senso, in tutti e sette i brani è come assistere ad allo sgretolamento dell’unità dell’opera: armonia, melodia e ritmo sono continuamente interrotte, tagliuzzate in modo sempre più invasivo, sino alla dispersione ed alla successiva formulazione di nuove e sconosciute unità.

Il “rosa pop” della copertina non deve trarre in inganno, questo è comunque un album vicino al permafrost, il freddo artico rimane sempre sullo sfondo senza per questo però rischiare di bruciare la semenza che in forma di idee musicali nuove è già pronta a venir fuori dal gelo.