NECROT, Mortal

Compito per le vacanze: create, nel 2020, un album death metal old-school che riesca a catturare l’attenzione, mantenga le aspettative di chi già vi apprezza e possibilmente vi faccia guadagnare nuovi ascoltatori, oltre a suonare fresco e non banale. Di primo acchito sembrerebbe un’impresa ardua se non impossibile, una sorta di rompicapo destinato ad infrangersi sul dilemma tra ripetere cliché ormai abusati o aggiungere elementi che ne modernizzino l’appeal ma, al contempo, rischino di snaturare l’essenza del genere.

Quali sono allora gli ingredienti che hanno portato la band di Oakland ad un nuovo centro? Andiamo per ordine e partiamo dal prendersi le giuste tempistiche, perché oggi far passare tre anni tra due dischi non è la consuetudine, soprattutto se si considera che il precedente (Blood Offerings del 2017) aveva ricevuto consensi unanimi, portando il nome della band sulla bocca di tutti e permettendole di andare in tour per il mondo con i “big names” della scena di riferimento. Fortuna loro, i tre Necrot hanno da sempre adottato una politica dei piccoli passi, per cui hanno preferito studiare bene le regole del gioco e hanno capito che il troppo correre rischiava di bruciare gli sforzi fatti, per questo si sono dedicati al trovare la perfetta alchimia tra i vari elementi, cementarla in sede live e portare la macchina a pieno regime prima di dare alla luce il nuovo lavoro. Punto due, hanno compreso l’importanza di scegliere un team che valorizzasse la loro musica al meglio: da qui l’accoppiata Greg Wilkinson e Alan Douches dietro il banco di regia, così da essere sicuri che il tutto suonasse nel modo giusto, ottenesse la necessaria potenza e l’equilibrio ottimale tra ruvidezza e pulizia perché ogni sfaccettatura risaltasse a dovere. Non si può, d’altro canto, tacere la capacità di tenere le radici saldamente piantate nella scena underground e nell’etica diy, fattore evidente nella decisione di continuare a collaborare con la Tankcrimes, casa della band da sempre, nella forte connessione con la scena locale e nei testi dal taglio sociale senza per questo sprovvisti del classico immaginario death. Perché questa ricetta funzionasse a dovere serviva, poi, l’ingrediente segreto, quello che rende il nuovo disco dei Necrot davvero capace di colpire il centro e convincere sin dal primo ascolto, ovverosia una scrittura ispirata in cui si riflette la convinzione dei musicisti coinvolti e tiene a dovuta distanza noia e giri a vuoto, trucchetti per nascondere mancanze e pareti di cartongesso. Per ultimo, non mancano neanche quei piccoli dettagli capaci di caratterizzare i singoli brani ad evitare la ripetitività, così da avere tra le mani un album che scorre senza intoppi dall’inizio alla fine e non perde giri lungo il tragitto. A cercare il pelo nell’uovo, l’unico appunto che si può davvero muovere a Mortal è il suo giocare a carte scoperte e dichiarare la sua totale e completa dedizione alla scena death metal. Può bastare questo per entrare nella rosa dei migliori del 2020? A quanto sembra, la risposta non può che essere affermativa. Il compito è stato svolto e portato a termine nel migliore dei modi, noi scapocciamo alla grande e non vediamo l’ora di vederli dal vivo. Bravi Necrot.