MAUDLIN, Davy De Schrooder

Maudlin

Un concept affascinante, un album ricco di spunti da approfondire e un’evoluzione sonora che ci ha colpito e intrigato, questi i motivi che ci hanno spinto ad intraprendere un’interessante chiacchierata con i Maudlin, freschi autori di A Sign of Time, seguito e continuazione del discorso iniziato con Ionesco.

Presentaci la band e raccontaci come è nata…

Davy De Schrooder (vocals & samples): Ciao, i Maudlin si sono formati come la maggior parte delle altre band. Io e altri due suonavamo nei Disengage e, quando si sono sciolti, con Jasper e Kris abbiamo deciso di continuare a suonare insieme. Kris ci ha presentato Munchie – che ha delle doti da batterista straordinarie – e io e Jasper abbiamo chiesto a Thijs Goethals di unirsi a noi per suonare il basso. Così abbiamo cominciato a jammare e abbiamo composto quattro brani per una durata di circa trentadue minuti. Da lì abbiamo iniziato a suonare dal vivo e registrato questi quattro brani. Sono usciti su Offerandum Records sotto forma di ep, Solitary Echo. Poco dopo, abbiamo sentito l’esigenza di aggiungere un nuovo membro che si occupasse di tastiere e clean vocals, ovvero Tim Gyselbrecht, che al tempo era il nostro migliore fan e che abbiamo conosciuto grazie ai Maudlin. In questi giorni Tim e Thijs non riescono a far coincidere i Maudlin con il loro lavoro e la vita familiare, per cui dopo aver registrato A Sign Of Time sono usciti dalla band. Fortunatamente, siamo stati fortunati nell’incontrare un nuovo bassista, Yannick Dumarey, che ora è un membro effettivo e che magari conoscete visto che suonava nei Death Before Disco.

A Sign of Time e Ionesco sono entrambi basati sul dr. W.J. Freeman e sulle sue teorie circa la lobotomia. Ma credo sia avvenuto un cambio di prospettiva ed esista una differente trama tra le due uscite. Ti dispiacerebbe parlarci un po’ delle vostre lyrics e del vostro immaginario?

In realtà, nessuna delle due è direttamente basata sul dr. Freeman o sulle sue teorie circa la lobotomia. Lui credeva che la lobotomia transorbitale fosse in grado di curare la depressione. Per Ionesco abbiamo preso spunto dalla storia del dr. Freeman e vi abbiamo inserito un personaggio fittizio. L’album parla dei sentimenti che prova questo personaggio prima di incontrare Freeman, di come è entrato in contatto con il suo drastico trattamento e di come si è sentito dopo averlo subito. Quindi, c’era un collegamento con Freeman, ma era più che altro basato sulle emozioni che una persona provava e sul disperato bisogno di cercare una soluzione.

Per A Sign of Time abbiamo preso trenta secondi di Ionesco e li abbiamo raccontati per mezzo di un allungamento temporale. Abbiamo cercato di descrivere quali percorsi fa la nostra mente quando attraversa la “luce bianca”: Ionesco ha un finale aperto e con il nuovo album non abbiamo chiuso la storia, ne abbiamo raccontati solo trenta secondi.

Come mai avete scelto la forma del concept e cosa ha attratto la vostra attenzione sul dr. Freeman?

Credo che la storia del dr. Freeman sia una storia radicale e ci ha aiutato ad illustrare emozioni che altrimenti sarebbero difficili da descrivere con le parole. Abbiamo pensato che, attraverso una storia dal background così forte, avremmo potuto dare ai nostri ascoltatori una visione più approfondita sui sentimenti di cui volevamo trattare. Inoltre ci piace che ogni canzone e ogni riff siano parte di un qualcosa di unico. Riuscire a creare una cosa simile ha rappresentato un’enorme sfida per noi.

La vostra musica segue uno stile decisamente personale e, con i nuovi brani, ha raggiunto un ulteriore livello, soprattutto per la capacità di mischiare e bilanciare i molti input presenti: doom, prog, psichedelia e così via. Quali sono stati i momenti più significativi nella storia dei Maudlin e cosa ha influenzato maggiormente la vostra evoluzione?

Siamo cresciuti nella scena hardcore, ma dal momento in cui abbiamo fondato i Maudlin abbiamo pensato di dover fare qualcosa che non fosse confinato in quella scena. La maggior parte dei ragazzi ci ha accettato, anche se non aveva idea di come reagire di fronte a una band simile. A volte abbiamo suonato di fronte a un pubblico rock o metal, ma avevamo anche noi quella strana sensazione. Non abbiamo mai provato qualcosa come il sentirci davvero a casa nostra. I nostri brani nascono dalle jam e ciò che ascolti è quello che ne viene fuori. Quindi credo che siano oneste, rappresentano ciò che sono i Maudlin. Non ci siamo mai posti il problema di comporre un brano doom o rock, tutto inizia con una jam. Puoi considerare i Maudlin una band che crea musica per cuori senza fissa dimora.

Nella mia recensione ho descritto A Sign Of Time come collegato in qualche modo a “Comfortably Numb” dei Pink Floyd. Non mi riferisco alla musica, ma al mood generale, una sorta di feeling dolce-amaro. Come accade quando vecchi ricordi ti fanno sorridere e commuovere allo stesso tempo, con un senso di oscurità incombente sullo sfondo. Ti sembra una descrizione fuori fuoco?

No, direi che essere paragonati ai maestri è un grosso complimento. Missione compiuta.

La vostra musica raggiunge il maggiore effetto se gli si dedica la giusta attenzione e il giusto tempo. Ma, al contempo, non appare mai troppo complessa o difficile da apprezzare, anche per merito di alcune linee melodiche di grande impatto (vedi, ad esempio,”Ride The Second Wave”). È stato duro far coincidere il vostro lato più difficile con questo aspetto più melodico?

Dopo che è venuto fuori il primo riff, parliamo insieme delle emozioni che trasmette a ciascuno di noi. Attraverso il parlare tra di noi creiamo un’immagine nelle nostre menti. Tutto ciò che resta da fare è restare all’interno di questa immagine e creare la musica intorno ad essa come se fosse un tema portante.

Questo mi fa anche pensare al vostro background come musicisti e ascoltatori. Quando avete deciso che sareste diventati musicisti e quali erano al tempo le vostre fonti di ispirazione?

Come ti ho detto prima, abbiamo iniziato a suonare che eravamo molto giovani, principalmente hardcore. Sebbene avresti potuto incontrarci a molti show, nessuno di noi era un cardine della scena. Niente grandi chiacchiere, nessuna ricerca di trend, solo ragazzini che amavano l’atmosfera di un buon concerto hardcore. Credo che lì sia nato il nostro amore per i suoni duri. Comunque, nessuno di noi è di mentalità ristretta o è rimasto aggrappato a quella scena, sebbene ancora la amiamo. Anche al di fuori dell’hardcore si può creare musica stupenda e non c’è nulla di male nell’esplorare altri linguaggi.

Ci sono band cui vi sentite in qualche modo legati? Con chi vi piacerebbe dividere il palco?

In realtà, ci piacerebbe condividere il palco con qualsiasi gruppo, purché dotato di un’audience dalla mentalità aperta per ascoltarci. Amiamo suonare così tanto che non ci interessa restringere i nostri show a “quelli con le band giuste.”

Continuerete a mantenere il concept oppure nei prossimi dischi o lo abbandonerete?

Onestamente, non ci abbiamo ancora pensato. Per ora ci godiamo questo album e penseremo più in là a come muoverci dopo. Non è qualcosa cui ci sentiamo di rispondere così presto. Creare un concept assorbe moltissima energia e ti costringe a forzare i tuoi limiti. Anche se è una sensazione che personalmente amo. I Maudlin sono composti da cinque persone e dobbiamo essere d’accordo tutti sulla direzione da intraprendere.

Avete in mente di partire in tour nei prossimi mesi e magari toccare l’Italia?

Speriamo davvero di tornare in Italia, quindi, chiunque voglia vederci suonare nella sua città si faccia avanti. Parlate agli organizzatori. Sono sicuro che un tour europeo partirà dopo l’estate, ma questa estate è tutta per Yannick e la sua ragazza Tiemke, che aspettano il loro primo figlio. Siamo tutti presi da questo avvenimento.

Qualcosa da aggiungere?

Continuate a seguirci su facebook.com/maudlinrocks e speriamo di venire a suonare dalle vostre parti. Rock out!