MATTIN, Seize The Means Of Complexity

Nel 2015 atterrava sul piatto del mio giradischi Lagos Sessions, doppio vinile frutto del materiale sonoro raccolto dal collettivo basco Billy Bao nella megalopoli nigeriana e quindi rimaneggiato e integrato dagli interventi della band in un disco alquanto gustoso. Mattin è fra i fondatori di Billy Bao e il suo ultimo lavoro, uscito per i bolognesi di Xing nell’ambito della Xong Collection, riprende un po’ la tecnica combinatoria utilizzata nel 2015, ma in maniera ancora più radicale e per molti versi randomica: il campo di ricerca stavolta è quello meno esotico ma sterminato delle nuove forme di condivisione di contenuti. Mattin riconosce nei social media una fonte di destabilizzazione e alienazione e invoca con un rito plunderfonico la collettivizzazione del disagio psichico derivante dall’esposizione alla rete. Il disco si apre con un loop che si avvolge su sé stesso sfaldandosi giro dopo giro, una specie di fase preparatoria, se non catartica, che aiuta a resettare i timpani in vista del pastiche di sample che verrà, un blob di robaccia trovata in giro sulla rete, su Instagram o Tik Tok, hip hop, rnb, filastrocche per bambini, grandi successi, da Shakira a Christina Aguilera, a volte ritoccati, spesso lasciati così come sono, frammenti giustapposti in maniera che suona totalmente casuale. Più interessante è il lato b del disco, in cui i campioni sembrano annegare in una fanghiglia appiccicosa, una brodaglia noise che sembra anch’essa un sample ma ammalorato, da cui ogni tanto fa capolino qualcosa di riconoscibile per poi inabissarsi. “Siamo nel buco del culo della Storia” dice Mattin e questa è la colonna sonora, un po’ veleno e un po’ antidoto.