LUSTMORD, Brian Williams

Dopo tanti anni non potevamo farci scappare Brian ‘Lustmord’ Williams. Molta della roba che ascoltiamo e che riceviamo affinché sia poi recensita ha lui nel proprio dna, in maniera più esplicita o più implicita, a seconda dei casi. Williams, raggiunto via Skype, non è il signore del male che qualcuno s’immagina (widely credited as the originator of the Dark Ambient genre, scrive l’etichetta Touch) ed è provvisto tanto di senso critico quanto di senso dell’umorismo. Un grazie enorme a Ekaterina Kochegurova, che mi ha aiutato a gestire l’intervista e a sbobinarla.

Hai iniziato a Londra con gli SPK, ma negli anni hai guadagnato il rispetto di più e diverse scene musicali. Stavi sul catalogo Hydra Head. Adesso su quello Touch (e non penso che tanti fan dei Botch ascoltino Philip Jeck, e viceversa). Hai ottenuto questi riconoscimenti seguendo comunque la tua strada. Hai avuto la sensazione negli anni che il tuo pubblico si stesse espandendo? Forse non ti interessa, ma sappiamo anche che allo stesso tempo non ti piace essere incasellato in un genere e questo non accade più…

Brian ‘Lustmord’ Williams: Questa è troppo lunga, dai… (ride, ndr).
Vediamo, sì, ho iniziato anche prima degli SPK, era il 1980, era tanto tempo fa. Poi mi sono unito agli SPK, mi sono trasferito a Londra (Brian è gallese, ndr). Penso fosse il 1985.

Ci sono più domande nella tua domanda. Mi piace lavorare con etichette diverse, ma la cosa ha più a che fare con la composizione “demografica” e col pubblico di ciascuna etichetta più che con l’etichetta stessa. Mi piace scegliere, mi piace lavorare con realtà buone, interessanti, che fanno cose altrettanto interessanti, ma conta che sia il pubblico a esserlo. Mi piace fare dei tentativi. Come con Hydra Head: era tutto molto diverso, la gente che compra i dischi della Hydra Head, in generale, è diversa da quella che compra i miei. Si tratta di giocare, di esporti a nuovi ascoltatori, sai…
Hai ragione, comunque: non mi piace essere incasellato. Gli schemi sono utili, magari come riferimenti in una conversazione, ma proprio per niente con la musica, e anche con la vita in generale. Ok, capisco perché si fanno, ma non è affascinante, quindi…

Sei su Touch adesso, pensi che troverai nuove persone o ritieni che avete lo stesso pubblico?

Non credo… penso sia in gran parte lo stesso, non penso nuova gente. Io conoscevo Touch, ero in contatto con loro da tempo, già 25 anni, ma stavamo tutti a Londra e poi… we lost touch… questo è un gioco di parole tremendo (ride, ndr). Però io pensavo che il mio nuovo disco fosse proprio adatto a loro, è il loro tipo di disco, lo capiscono. Beh, anche altre lo avrebbero capito, ma a volte è dura dare un perché specifico: c’è qualcosa tra Touch e quest’album, si appartengono.

Sempre a proposito di Touch: grazie a Jon Wozencroft le sue edizioni possiedono una forte identità visiva. Che ci puoi raccontare della fase di creazione dell’artwork di Dark Matter?

Oh, beh, è stato molto veloce e piacevole. Io sono davvero – non so come lo tradurrete in italiano – molto “anal” (cacacazzi, suggerisce un dizionario on line, ndr) quando si tratta di dettagli, divento ossessionante su piccole cose. Jon però è una persona con cui è facilissimo lavorare. Ok, mi piace la sua estetica, quindi era avvantaggiato, ma io ho le mie idee, eppure è stato semplice. È arrivato con un primo tentativo molto buono di copertina: mi piaceva il layout, ma non andavo pazzo per l’immagine, così abbiamo parlato un po’, quindi lui ha proposto una seconda immagine, io l’ho presa, l’ho manipolata, gliel’ho restituita in modo che capisse cosa stavo pensando e lui mi ha seguito. Insomma, è stato sul serio semplice, lui è molto bravo coi dettagli, quelli che come dicevo io curo molto, dunque uno non si deve preoccupare. Ci sono voluti pochi giorni quando invece queste cose normalmente richiedono lungo tempo, e-mail avanti e indietro, discussioni, cambiamenti, tentativi in direzioni diverse. Però noi parliamo la stessa lingua.

Tutti i tuoi fan sanno del tuo interesse per lo Spazio. Forse non tutti i tuoi fan sanno già che Dark Matter deriva da una “audio library” di attività cosmica messa in piedi tra il 1993 e il 2003. In un certo senso sembra che tu abbia concluso nel 2016 una lunga storia iniziata nel 1993. Come ti senti?

Capisco la domanda, ma non considero Dark Matter come la fine di qualcosa che è iniziato, come dici, nel 1993, il viaggio prosegue, ma… sì, Dark Matter è qualcosa di significativo. L’idea è vecchia di vent’anni e finalmente l’ho messa su un album, ma queste cose non hanno fine, tornano sempre, sono lì in un angolo della tua mente, riappariranno sulla tua strada in qualche altra forma. È così che succede, sai. Ok? Sono stato un po’ vago… (ride, ndr)

Sembra un libro scritto per tutta la tua vita…

Sì, è un libro, e forse… non ho pianificato un sequel, ma questo non vuol dire che non ci sarà un sequel…

Per tornare alla tua domanda, nel 1993, quando stavo a Londra, ho avuto l’idea di fare quest’album, ma se vivi lì, come ottieni suoni dallo Spazio? Non è semplice. Quest’idea è rimasta in piedi per un anno o due e succederà anche a te di buttare giù qualcosa su di un blocco note e poi metterlo via, dimenticarlo… quando mi sono trasferito in America ho ri-parlato di questa cosa con mia moglie, tipo come noi stiamo parlando adesso, una conversazione normale su quello che volevo fare e quello che non riuscivo a fare, e lei ha detto: “Viviamo a Los Angeles adesso, e il Jet Propulsion Laboratory è qui e probabilmente è sulla guida telefonica, quindi chiama”. Il Jet Propulsion Laboratory gestiva le registrazioni della sonda Voyager. Li ho chiamati, credo fosse il 1994, loro hanno solo chiesto il perché, io mi sono spiegato e loro mi hanno mandato dei nastri che sono stati l’inizio della mia collezione. Ci è voluto abbastanza tempo per avere abbastanza materiale con cui realizzare un album. Dieci anni, ma poi nel mezzo ero occupato con altro che era più urgente, ed ecco che ne sono passati altri dieci prima di mettermi a registrare.

Hai utilizzato software per portare questo materiale dentro lo spettro delle frequenze da noi udibili. Quindi hai permesso ai nostri sensi di percepire ciò che non era percepibile. Sembra metafisica o religione, ma alla fine non lo è. Il tuo lavoro ha spesso a che fare con la metafisica, ma alla fine sei un materialista. Mi aiuti a capire?

Quale parte non capisci?

È come se avessi registrato spiriti.

Ok, penso che ci sto arrivando…

Tu registri quello che noi non sentiamo. Nelle religioni sono i santi che ascoltano voci che noi normali non sentiamo.

Stai dicendo che sono un santo? (ridiamo, ndr)

No! Prendi la filosofia. Ci sono tanti filosofi che dicono che vediamo e sentiamo solo una parte del mondo e che c’è un’altra parte che i nostri sensi non possono percepire…

Sì, inoltre penso che noi capiamo una parte del mondo ancora più piccola, voglio dire che comprendiamo davvero poco. C’è così tanto che non siamo capaci di intendere, cose che sono molto più complesse dei nostri cervelli, e per quanto crediamo di essere intelligenti, non lo siamo abbastanza per capire il significato della struttura e del funzionamento di molte cose. E lo trovo davvero interessante. Sì, sono, direi, un materialista, ma sono affascinato – e pure molto ispirato – dallo sconosciuto quanto dal conosciuto. Ci sono stati aspetti del mio lavoro che non riguardavano lo Spazio, ma l’Universo. Le scale universali, capisci cosa intendo? Tradizionalmente noi tendiamo a pensarci come il perno, come individui tendiamo a pensare che le cose ci girino intorno, invece noi siamo parecchio insignificanti su larga scala. Possiamo parlare di queste cose dal punto di vista psicologico, filosofico o da altri ancora, ma, come ovvio, la maggior parte delle persone ha un bisogno reale di avere un significato per la propria vita, il significato di ogni cosa. E forse c’è, ma è interessante anche che forse non c’è un significato per ogni cosa. Sono davvero colpito dalla grandezza del tutto, da come non possiamo comprendere le distanze.
Per tornare al tuo discorso sull’invisibile e al mio sulle cose che non possiamo capire, è un po’ come essere in una stanza davvero buia e avere una luce piccola, e la luce può estendersi solo un po’, ma tu vorresti davvero vedere cosa c’è dopo la tua luce. Sono sempre stato curioso di sapere cosa c’è dietro l’angolo, cosa c’è oltre. Sì, direi che sono materialista, realista, ma posso essere anche creazionista: non è che mi metto a fantasticare, ma anche quelli sono idee e concetti che possono ispirarmi.

Quindi cosa ti affascina di più? Lo Spazio o – per usare le parole di Ballard – lo Spazio interiore?

Oh, mi piace questa citazione di Ballard. Buona questa, hai il mio rispetto.

Il mio scrittore di fantascienza preferito.

Sì, davvero? Io ho tutto di Ballard.

Io ho letto un mucchio suoi di libri (Brian mi chiede se ho letto non so quale intervista, non afferro ma non voglio deragliare, gli rispondo la verità, cioè che alcune comunque ne ho lette e che sono illuminanti, ndr).

Ci ho trovato delle robe favolose in quelle interviste, io amo Ballard. Comunque io non preferisco una delle due cose, spazio esteriore e interiore sono ugualmente interessanti, mi hanno ispirato entrambi, sono un po’ due facce della stessa medaglia. La domanda è fantastica, ma non ho una risposta. In qualche modo si combinano in uno “spazio filosofico”, quando arrivi alle idee pure.

Ho saltato una domanda prima di fare l’inciso su Ballard. Portare i suoni dello spazio nel nostro campo uditivo dev’essere stato un momento di scoperta anche per te. Ci sono stati frangenti in cui hai detto “cosa diavolo sta succedendo qui?”.

(Ride, ndr) alcuni di questi suoni si trovano già nel nostro campo uditivo, ma comunque non mi è successo, perché sto facendo questo da così tanto tempo che – non voglio sembrare arrogante, odio gli arroganti – so quello che combino. Quando lavoro su qualcosa vedo come sarà, come sarà il suono. Dipende dall’esperienza, non perché sono particolarmente intelligente, solo che l’ho fatto tante volte… Quindi nessuna sorpresa in quel senso. L’unico problema, la difficoltà è nella raccolta di suoni dello spazio: la maggior parte è rumore, stridio, glitch, un specie di noise giapponese. Sì, potresti farci un grande album noise, ma non è quello che volevo. Insomma, semplicemente devi filtrare e rendere certi suoni meno spiacevoli.

Passiamo a un altro argomento. Kiran Sande ti ha intervistato per Fact Magazine nel 2010. Poi, nel 2013, ti ha pubblicato un album (The Word As Power) con la sua Blackest Ever Black. Blackest Ever Black è sotto i riflettori oggi, perché sta facendo molto bene qualcosa di originale, anche se con lo sguardo al post-punk e all’industrial. Hai parlato con Kiran del rapporto tra la tua musica e il resto di quella che lui pubblica? Influenze, somiglianze, differenze…

Per quell’intervista siamo stati un’ora o due a parlare in un caffè a Cracovia, ed è stato molto interessante. Mi piacciono le interviste-conversazione, in cui parli di idee e altre cose, non roba della serie “qual è il tuo album preferito?” o “qual è il tuo colore preferito?”. Era chiaro, mentre discutevamo, come lui fosse sul serio entusiasta della musica, ne sa moltissimo di molti generi e mi ha davvero fatto una buona impressione, mi ha colpito vederlo così giovane e così appassionato.

Dopo, quando lui ha avviato l’etichetta, osservavo ciò che faceva e notavo che era interessante, e mi piaceva il suo retroterra. Sai, vengo dal punk e dal primo industrial, e queste cose sono state imitate molto nel corso degli anni e si è sempre trattato di imitazioni povere, gente che fa un po’ di musica di merda e la chiama “industrial”, hanno campionamenti e una chitarra… Blackest Ever Black, dal punto di vista creativo, filosofico, delle idee dietro al tutto, è invece sul serio molto più vicina alle mie origini. E così mi è sembrato giusto lavorarci, anche perché era un’etichetta giovane, con un pubblico molto diverso dal mio solito, quindi… ero molto convinto di fare qualcosa con Blackest Ever Black e sono contento di averlo fatto.

Ti inorgoglisce che i giovani guardino a te con tutto questo interesse?

Penso che il primo album dei Raime su quell’etichetta sia grandioso. È bello vedere che ci sono band giovani che arrivano e fanno qualcosa di interessante, originale e nuovo. Amo la musica, compro un sacco di dischi e per troppo tempo la storia è stata solo gente che copiava altra gente, e questo va ancora avanti. Blackest Ever Black è un buon esempio di etichetta che pubblica dischi magari non sempre “nuovi”, ma cerca di firmarli, di avere una nuova prospettiva, anziché dire e ridire sempre le stesse cose.

Di recente stiamo ascoltando Roly Porter, Paul Jebanasam, The Haxan Cloak, Raime… tutta gente che arriva dal dubstep e dal dancefloor e adesso fa roba atmosferica e drone, spesso con temi fantascientifici, con basse frequenze pesanti, perché provengono dal dub e dalla sound system culture. E so del tuo amore per il dub. Ascolti questa nuova generazione di artisti? Sembra che vi stiate incontrando da qualche parte sulla mappa musicale, anche se siete partiti da punti diversi…

Li conosco, ho visto dei loro live e alcuni li ho pure incontrati, uno è un mio amico su Facebook. Ho solo parte della musica delle persone che hai nominato, ma le ho beccate dal vivo, appunto, e mi piace quello che fanno. E sì, sono d’accordo, siamo sulla stessa mappa, che è davvero bello, parliamo lo stesso linguaggio. Può anche non piacerti qualcosa che uno sta facendo, ma puoi sempre rispettarlo. Ha senso questa cosa per te? C’è della musica che non mi piace e basta, gusti personali. Altre volte c’è della musica che non mi piace, ma apprezzo il fatto che qualcuno abbia provato a farla. E la gente che tu hai nominato… chi era il secondo?

Ho nominato Roly Porter, Paul Jebanasam, che collabora con Roly Porter, The Haxan Cloak…

… sì lo conosco.

Sì, Bobby Krlic potrebbe essere tuo fratello più piccolo… (ridiamo, ndr).

Mi piace anche Regis. Stanno accadendo molte cose e alcuni di questi artisti, che stanno appena iniziando, già hanno realizzato buoni lavori, sarebbe interessante poter vedere a che punto sarà questa scena fra una decina d’anni.

Conosco Regis di nome, ma non mi ci sono mai messo su. È su Blackest Ever Black, quindi direi che ha senso…

Come ti dicevo prima, lui è uno di quelli di cui non mi piace tutto, ma apprezzo che lo stia facendo… c’è bisogno di qualcuno che provi a realizzare quello che lui prova a realizzare.

Hai iniziato a suonare dal vivo. Grazie a internet possiamo anche assaggiare le visuals che hai usato per le tue performance. Perché non sei mai stato in Italia?

Perché nessuno l’ha chiesto (ride, ndr). Per la verità qualcuno una volta l’ha chiesto, ma non è riuscito a farlo accadere. Ne sarei felice, non sono mai stato in Italia, il che è folle. Davvero folle. Se c’è qualcuno che mi vuole organizzare una data, io sarò lì. La mia musica è molto cupa, ma quando suono dal vivo, e non lo faccio spesso, la gente viene. Forse, visto che non suono live spesso la gente suppone che io non lo faccia proprio.

Lavori anche nell’industria cinematografica. Di solito nelle interviste dici: “quello è il mio impiego”.

Sì, lo è stato, non lo sto facendo da un po’ ma sì, quando lavori su certi progetti che non sono molto buoni e la gente ti chiede perché lo fai… beh, è un impiego, tanta persone hanno degli impieghi e non amano quello che fanno. Solo perché prendo parte a un certo progetto questo non significa che mi debba piacere, ma mi pagano e io a mia volta pago i conti, sai. Ovviamente tutto quello che è legato a Lustmord non è fatto per soldi, se fosse per soldi farei musica più commerciale. Ma forse ti ho interrotto…

Siccome appunto hai sempre detto che per te quello del cinema è un “lavoro”, volevo sapere se invece t’è mai capitato di metterti su qualcosa per cui sei stato pagato, ma che per te è stato soddisfacente anche da un punto di vista artistico.

Per me è sempre importante fare un buon lavoro, può non piacermi il progetto, può essere davvero un film di merda, ma voglio comunque che sia molto buono. Ho quel tipo di orgoglio professionale. Ci sono state commissioni che mi hanno divertito e appagato, non molte persone hanno poi visto il film, ma non conta. Ecco perché adoro occuparmi di Lustmord: questo è ciò che sono, questo è come mi esprimo. A volte qualcuno mi contatta e mi vuole ingaggiare per far qualcosa di simile a me per il suo progetto, quindi ci sono delle situazioni in cui mi piace quello che sto facendo e qualcuno pure mi paga, e non voglio dirgli che l’avrei fatto anche se i soldi non me li dava (ride, ndr). Altri progetti sono più rigidi, il committente sa già cosa vuole ed è anche semplice da realizzare, però così è noioso. Oggi ho una reputazione e la gente vuole da me quel tipo di mio materiale, quindi logicamente posso esprimere me stesso e non eseguire gli ordini. Negli ultimi anni ci sono state anche delle persone che mi hanno chiesto di occuparmi di qualcosa di entusiasmante, ma poi – ed è molto comune – hanno cambiato idea o qualcuno le ha sostituite. Quindi può esserci anche molta frustrazione in quest’ambiente. Comunque negli ultimi anni, come ti dicevo, non ho fatto molto, ero impegnato a fare le mie cose.

Grazie, per me è stato un onore, perché ti ascolto da molto tempo. E sono contento che con gli anni ci siano persone più giovani che riconoscono l’importanza del tuo lavoro e usano alcuni tuoi stilemi sonori, avendo successo facendolo.

Grazie (ride, ndr), ne abbiamo bisogno.

Serve più Lustmord nelle nostre vite…

(Ride, ndr) Quello di cui abbiamo bisogno è gente giovane che ci dica “voi vecchi siete merda, dovreste fare così e così…”. Abbiamo bisogno di gente giovane che faccia meglio, molto meglio. E prima abbiamo parlato di qualcuno che è veramente bravo…