L’occhio di The Mon

Urlo è basso e voce (anche synth) degli Ufomammut dal 1999. Gli Ufomammut qui non hanno bisogno di presentazioni. Come si sa, lo troviamo anche in Malleus, l’art noveau applicata alla heavy music da più di vent’anni. C’è poi Supernatural Cat, etichetta nata a metà anni Zero, casa di Ufomammut (ovviamente), Morkobot, Zolle, Lento, Incoming Cerebral Overdrive e per un periodo anche degli OvO. Supernatural Cat, come immaginabile, è anche la base per The Mon, il progetto solista (a formazione aperta, direi) di Urlo. Eye, secondo album di The Mon, è indecifrabile e familiare allo stesso tempo. Potremmo dire che ci si avvicina alla forma canzone, al folk, iniettandoci elettronica. Per via delle atmosfere magiche, fuori dal tempo e irreali – merito anche del violino di Sarah Pendleton di Subrosa/Otolith – Eye è un disco che potrebbe essere di tanti anni fa (le ineliminabili influenze floydiane) come per certi versi solo di oggi, perché appartiene a un momento in cui molti musicisti dello scenario postmetal si sono riavvicinati a loro modo alla tradizione e a composizioni più riflessive. Non credo, infatti, che su Eye Von Till dei Neurosis e Van Eeckhout degli Amenra siano lì su pezzo a testa (struggente Colin su “To Te Ones”) come grande nome/specchietto per le allodole, ma perché anche loro due esplorano alla loro maniera territori simili. La bellezza del disco è tutta qui: sai dove stai camminando, ma non dove finirai.

Ho scoperto Malleus più o meno nel 2002-3 (ricordo quella volta i poster di Unsane e Oneida, ma anche di Bugo e Linea 77, cosa a cui non penseremmo oggi), poi gli Ufomammut. Vent’anni dopo le domande sarebbero tante. Provo a rimanere più sul pezzo: quando, pur impegnato con un gruppo stellare, hai sentito il bisogno di The Mon?

Urlo: Sono passati davvero tanti anni da quando tutto è iniziato… Poia ed io ci conosciamo ormai da più di 30 anni e siamo stati la scintilla che ha acceso il fuoco di Ufomammut e Malleus.
Tutta la mia esistenza si è sviluppata attorno alla musica, sono stato molto fortunato a poter fare sempre quello che amo e che so fare meglio, con un’attitudine DIY che ci ha probabilmente fatti faticare il doppio, ma non ci ha costretti a scendere mai a compromessi.
Ad un certo punto della mia vita ho iniziato a voler capire cosa avrei potuto fare da solo, staccandomi da Ufomammut e dedicandomi ad un progetto tutto mio. Avevo già provato nel 2005, scrivendo e suonando interamente due brani di Lucifer Songs (“Astrodronaut” e “Lucifer Songs”), quindi nel 2008 avevo dato vita a un progetto che non ha mai visto la luce, componendo vari brani con il monicker di Farwest Zombee e coinvolgendo poi Lorenzo e Fede dei Lento, Rose Kemp e Poia. Ma ho dovuto aspettare tanti anni per decidermi a fare qualcosa di veramente mio.
L’armonia in Ufomammut si stava spegnendo, cominciava a mancare la voglia di fare, di cambiare e tutto stava diventando per me molto stretto. E così è nato Doppelleben, il primo lavoro di The Mon. Mi ha dato molto, mi ha aiutato a superare dei momenti difficili e ad affrontarli componendo musica. Quando Vita ha lasciato gli Ufomammut stavo già lavorando agli scheletri di EYE. Ho messo anima e corpo in questo progetto per superare un brutto periodo che è diventato ancora peggiore con la pandemia. Ho suonato, creato, invitato amici a collaborare al disco e ho capito, ancora una volta, quanto sia meraviglioso il potere della musica. The Mon è in questo momento una parte molto importante di me, non vedo l’ora di lavorare al nuovo disco e comporre musica (cosa che sto facendo per il progetto degli Arcani Maggiori che stiamo sviluppando con Malleus). E vedere che EYE è stato apprezzato mi ha dato molta, molta gioia.

L’occhio umano sulla copertina di un disco: tante le rappresentazioni, alcune accostabili alla tua. Io amo molto la copertina di Third Law di Roly Porter, anche perché per me è uno dei dischi fondamentali degli anni Dieci. Tu ne avevi qualcuna in testa? E mi dici un disco per te fondamentale degli anni Dieci?

È un occhio, ma anche un asteroide che viaggia nello spazio.
Aprendo la copertina del disco, la figura intera è un oggetto che dispiega la sua coda nell’universo.
Sono partito dalla parola palindroma EYE, volevo qualcosa che unisse la fisicità dell’essere umano alla sua capacità di vedere oltre, di sognare e creare. EYE è il terzo occhio, che vede dentro e fuori, che ci porta in mondi inesplorati e lontani, solo nostri, come solo la musica sa fare. L’idea iniziale era un occhio frontale, quello che c’è all’interno del vinile. Poi, guardando una foto macro di un occhio, ho pensato all’idea del “terzo occhio, spaziale”… Non avevo idee di copertine, volevo creare qualcosa di attraente, che desse l’idea della musica di EYE.
Un disco molto interessante degli anni Dieci è Circular Forms di Abul Mogard. Unknown Rooms di Chelsea Wolfe o July di Marissa Nadler, Songs Of The Plain di Colter Wall, Blues Funeral di Lanegan: questi sono dischi molto importanti e anche Obscure Knowledge dei Guapo è stato un ascolto assiduo di quel periodo.
Ce ne sono tanti… ma non saprei sceglierne uno solo.

Dal primo al secondo album c’è stato un cambiamento. Sembra che tu abbia trovato il “tuo” “folk”, qualcosa fuori dal tempo che sa di tutto ciò che ti ha influenzato (i Floyd, per dirne una ovvia) senza mai riprodurlo effettivamente. Hai spiazzato chi ascolta metal e hai spiazzato chi non ascoltando metal si è lasciato incuriosire da te. Ci regali una mezza chiave di lettura?

Ho sempre cercato di assorbire ogni influenza esterna e farla mia. Non mi piace copiare, “suonare come”, “disegnare come”, “fare le cose come” qualcuno che esiste già. È logico che nessuno è mai originale e unico, perché veniamo sempre da altri che hanno fatto e creato prima di noi. Ma cerco sempre di fare a modo mio e sono felice di aver trovato il “mio” “folk”.
Ho un grande amico che mi dice sempre che mi devo staccare dai Beatles e dai Pink Floyd… quando gli chiedo in quali parti li sente, in modo da capire e allontanarmi da possibili plagi, mi dice semplicemente che sono ovunque, ma in una mia versione personale e mi dice di andare avanti, senza preoccuparmi. Ho talmente ascoltato e assimilato certa musica che l’ho fatta mia. Sia chiaro che non intendo dire che The Mon è al livello dei Beatles e dei Pink Floyd… Stiamo toccando mostri sacri e irraggiungibili. Ma sicuramente ho imparato tanto da loro.
Credo che chi ascolta metal (non l’heavy metal classico… lì ho spesso incontrato grossi problemi di comunicazione) non abbia problemi ad ascoltare ogni altro genere musicale. Molte delle cose più particolari e interessanti uscite negli ultimi anni vengono da mondi estremi. La cosa difficile è farsi ascoltare da chi non ascolta metal. Oggi la musica è diventata “Spotify”, dove trovi tutto ma in cui non hai nulla… la soglia d’attenzione è ridotta all’osso e non abbiamo più quella “meraviglia” nel guardare una copertina ed ascoltare un disco. Per questo motivo, anni fa, con Malleus abbiamo creato Supernatural Cat, con le uscite in vinile e le copertine stampate a mano… ma questa è un’altra storia…

La band Subrosa è uno degli amori di The New Noise, eterno ed estesosi anche a The Otolith. Com’è nata la collaborazione con Sarah Pendleton? Mi piacerebbe che tu ci raccontassi cos’ha portato lei in dono al disco, perché ti renderai conto anche tu che un po’ tutti, da soli, capiranno cosa ci hanno messo Steve Von Till e Colin/Amenra. Vorrei insomma sfruttare la domanda per gettare luce su di un nome meno ovvio ma credo importante per Eye.

Urlo: Sarah ed io ci conosciamo da tanto tempo. Ho sempre ammirato il suo lavoro e la sua bravura al violino, il suo modo di suonare. Quando anni fa ci siamo incontrati a Salt Lake City durante un tour Ufomammut e abbiamo suonato assieme è stato meraviglioso. Da allora ho sempre sognato di avere il suo violino in qualche progetto e con The Mon ho finalmente potuto realizzare questa idea. Quando ho ascoltato le tracce con il suo violino, non credevo alle mie orecchie. I pezzi sono cambiati completamente e sono diventati delle piccole gemme. Credo che il suo apporto ai brani sia stato veramente magico, come hai notato tu è importante e unico, anche se meno riconoscibile a un primo ascolto. Spero di continuare questa collaborazione con Sarah e di vederla presto in Europa con gli Otolith.

Non che non ne fossimo consapevoli già una vita fa, ma negli ultimi anni in molti sono andati alla ricerca di un mitico “spaghetti sound”, che spesso corrisponde a musiche di italiani per film e per documentari degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. C’è un po’ di “spaghetti sound” in The Mon? Mi sbaglio? Se mi sbaglio, dimmi perché.

Urlo: Non saprei, dall’interno non credo di aver cercato nessun tipo di “spaghetti sound”, ma dall’esterno sarà sicuramente diverso.
Certamente la musica dei film italiani anni Settanta è una delle cose migliori che l’Italia abbia mai esportato e creato. E sicuramente, sin da bambini, ascoltiamo e riascoltiamo, volenti o nolenti, queste musiche. È probabile che noi Italiani abbiamo una scala musicale tarata su queste colonne sonore nel nostro dna…

Per un periodo ho sperato molto nella triade Ufomammut – Lento – Morkobot, mi piaceva immaginarla headliner ai festival senza che nessuno avesse nulla da eccepire. Domanda inevitabile, vista la condivisione di pezzi di vita: hai sentito il solista di Lorenzo Stecconi? Che te ne pare? Sembra un altro approccio rispetto al tuo.

Urlo: Sono sempre stato molto fiero di aver aiutato Morkobot e Lento a nascere con la nostra piccola etichetta Supernatural Cat. Earthen rimane uno dei miei dischi preferiti di sempre, mentre i Morkobot sono uno di quei gruppi di cui non crederesti mai possibile l’esistenza. Spero che un giorno tornino a suonare tutte e due le band, così come gli Incoming Cerebral Overdrive, altro gruppo a cui sono molto affezionato.
Il disco di Lorenzo è molto floydiano, bello, sicuramente lontano dal mio approccio alla musica. Innanzitutto lui sa suonare ed io no… A parte questo, la struttura dei brani è veramente diversa, siamo molto distanti da questo punto di vista.
È da una vita che mi piacerebbe fare qualcosa con Lorenzo. Ci incontriamo per registrare gli Ufo, per andare in tour, ma raramente per suonare assieme. Lo abbiamo fatto in passato con il progetto Farwest Zombee. Dovremmo riprovarci, potrebbe uscirne qualcosa di interessante.

Ti vedremo dal vivo come The Mon? Come restituirai The Eye dal vivo, considerando che non è un album esattamente “nudo”?

Ci sto lavorando.
Ho fatto per ora un piccolo set acustico di presentazione del disco ed è stata un’esperienza totalmente differente per me. Ma è anche una sfida che mi attrae molto e voglio portare The Mon dal vivo. Ho le idee abbastanza chiare, so che suonerò chitarra e basso, alternandoli, con dei sample per i violini di Sarah e altri suoni fondamentali nel disco. Sto lavorando molto di looper, cercando di dar vita ad un live che renda l’atmosfera del disco, pur non potendo essere la stessa cosa. Sto lavorando alle date in Italia che inizieranno il 12 ottobre a Milano, ai Linguaggi Creativi, location molto bella. Poi vorrei fare un giro in Europa, ma in Primavera. Poco alla volta, senza fretta, con gli occhi ben aperti…