JONNY GREENWOOD, Spencer (Original Motion Picture Soundtrack)

Nel 2021 Jonny Greenwood ha composto la colonna sonora di due dei film più attesi e “candidabili” della stagione, “Spencer” di Pablo Larraín e “The Power Of The Dog” di Jane Campion (oltre a essere apparso in quella di Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson). Se per la seconda i sentieri Western intrapresi sono classici, seppur in chiave essenziale e soffusa rispetto a quanto pensato tempo addietro per “There Will Be Blood” e “Phantom Thread”, le musiche composte per l’anticonvenzionale film di Larraín sono altrettanto anticonvenzionali, legandosi in qualche maniera, nel caso si vogliano tracciare dei fili di raccordo, alle fascinazioni jazzy di “The Master” e alle sperimentazioni di “Inherent Vice” (lì c’erano anche i pezzi dei CAN ad aiutare). Greenwood, d’altronde, sembrerebbe fare centro pieno quando è nelle condizioni di abbinare rigore e inventiva, come era già accaduto nelle eccellenti musiche realizzate nel 2018 per “You Were Never Really Here” di Lynne Ramsay, dove spaziava tra archi emotivi ed elettronica e noise. Ecco, Spencer (Original Motion Picture Soundtrack)acquista grande rilevanza innanzitutto all’interno della produzione del chitarrista dei Radiohead, toccando probabilmente il vertice, sia di resa sia concettuale, nel campo dei suoi lavori per il cinema. 

Dopodiché, ricopre grande rilevanza all’interno della pellicola che va a supportare, surreale e perciò più realistica che mai: un flusso di coscienza lungo i tre giorni trascorsi durante le feste natalizie del 1991 dalla principessa Diana Spencer a Sandringham House. Un anti-biopic, insomma, che nella produzione di Larraín fa ideale seguito a “Jackie”, per il quale era stata chiamata Mica Levi a occuparsi delle partiture. Le musiche di Spencer accompagnano il feeling cangiante e imprevedibile di Diana, in simbiosi totale con la performance attoriale, lanciata a restituire gli stati d’animo del personaggio anziché a ripercorrerne le vicende: dall’oppressione dei dettami monarchici ai propri disordini (alimentari e interiori), dall’onta del tradimento subito e da subire alla ribellione insita sottopelle. Greenwood ha spiegato che l’idea, sviluppata con il regista cileno, era prendere una tradizionale orchestra barocca e trasformarla sostituendone gli strumentisti con musicisti free jazz. I film sulla monarchia hanno un sound, ricorrendo solitamente a un mix di compositori classici. Quindi qui si trattava invece del colorato caos di Diana contro la compassata famiglia reale. Orchestrazioni classiche e free jazz si intrecciano sposando atmosfere quando maestose quando haunting, grazie appunto alla London Contemporary Orchestra, a un quartetto d’archi e a una band jazz.

Il disorientamento dell’iniziale “Arrival”, poco distante dalle allucinazioni noir di un Badalamenti, è già emblematico in tal senso, passando in modo nevrotico da un’estrema eleganza formale per quartetto d’archi, in accordo con le ambientazioni reali, allo stress e alla claustrofobia che montano sempre più tramite bassi, fiati e percussioni in disgregazione (con i contributi di Byron Wallen alla tromba, Alexander Hawkins ai tasti e Tom Skinner dei Sons Of Kemet alla batteria). Orchestrazioni da camera che in “Crucifix” scolpiscono l’epica dolente dell’icona e in “The Pearls”, corrispondente a una delle sequenze più clamorose, tradiscono la loro stessa natura per sfociare via via, in crescendo, nel registro di un puro horror psicologico. Il free jazz rispecchia l’improvvisazione a briglia sciolta di uno spirito libero, per l’appunto, in fuga onirica dalle sue gabbie: “Calling The Whipper In” è scatto-scacco matto che manda in frantumi ogni cosa, “Frozen Three” è cacofonia algida e gotica. “Delusion / Miracle”, nel fondere assieme la malinconia degli archi e singulti jazz sincopati, quasi singhiozzanti, è il passo di danza tra armonia e perdita di controllo. Il minimalismo drammatico del tema principale si sdoppia: austero nella title-track per solo pianoforte, più tradizionale e caldo in “The Boys”; fantasmatico in “Partita In Five For Two Organs” e addirittura rumorista in “Press Call”, entrambe poggiate sull’organo. “New Currency”, con un’impalpabile levità da stato di grazia, è trascendenza verso un miglior futuro e rende la visione-ascolto un unico capolavoro. Di per sé, comunque, la miglior colonna sonora (a oggi) di Greenwood e (di certo) dell’anno.

Tracklist

01. Arrival
02. Ancient And Modern
03. Calling The Whipper In
04. Spencer
05. The Pearls
06. Invention For Harpsichord And Compression
07. Frozen Three
08. The Boys
09. Delusion / Miracle
10. Partita In Five For Two Organs
11. Home / Lacrimosa
12. Crucifix
13. Press Call
14. New Currency