I dischi di Flamingo: Earthless e anziani che sbraitano contro le nuvole

Neil Young deve aver letto il mio precedente articolo e ha deciso di tirare su un gran casino con Spotify. “O me o il podcast di Joe Rogan” e dopo un paio di giorni si è levato dal più popolare servizio di streaming. Da lì sono nate polemiche sulla libertà di espressione, sul fatto che Neil Young sia un vecchio di merda ormai rincoglionito che urla alle nuvole, sul fatto che pensi solo ai soldi e che Joe Rogan sia fondamentalmente un Cruciani che ce l’ha fatta. Come al solito si butta tutto in caciara ma stranamente, pochi giorni dopo, Spotify, oltre ad aver perso svariati miliardi in azioni, ha deciso di bacchettare Rogan e i contenuti tendenzialmente novax (ovvero “non siamo novax ma ospitiamo gente delirante che non ha nessuna intenzione di vaccinarsi”). Da tutto ciò cosa ho imparato? Che nessuno ha discusso sulle percentuali orrende che gli streaming danno ai musicisti, che poi dovrebbe essere il motivo numero uno per abbandonare questi servizi. Ma ai grandi sta bene così perché tanto loro guadagnano su tour, merchandise, diritti, edizioni e fondamentalmente perché sono grandi. I piccoli invece vogliono esserci perché “è giusto esserci” e se ne stanno a delle condizioni senza senso. Spotify, iTunes, Amazon Music… sono semplicemente delle radio delle major e hanno dei contratti con queste piattaforme e si prendono volentieri i vostri 80 euro l’anno per mettere il vostro disco in streaming. L’artista indipendente dovrebbe tenersene lontano: c’è un motivo se non trovate il podcast di Steve Albini o di Ian MacKaye o di Henry Rollins! Eppure la volontà di esserci sempre anche se in contesti dubbi è quella che fa sì che non ci si perda Sanremo e che lo si commenti come fosse la cosa più spassosa del mondo. Non lo è! I giovani direbbero che è cringe: sia vederlo che commentarlo! Se volete far vedere che siete sul pezzo non perdetevi le novità musicali “serie” e lasciate perdere quella schifezza! Solo nella settimana in cui scrivo sono usciti nuovi dischi di Cult Of Luna, Amorphis, Voivod, Zeal And Ardor, Author & Punisher eppure è stato più importante bullizzare (perché non dite che è ironia) cantanti e canzoni nazionalpopolari. Ma chissenefrega, cambiate aria alle vostre case! Non state sempre ad inseguire il trend, non siate degli stupidi hashtag! Non voi eh, siete su New Noise, è uno sfogo generico. Ah, cazzo: sto diventando come Neil Young che urla alle nuvole.

Contando che i nomi sopracitati saranno sviscerati dalla redazione io mi smarco segnalandovi un bel disco “stoner”, sebbene il termine stoner ormai sia in disuso e sia la cosa meno trendy per vendere un disco: Night Parade Of One Hundred Demons degli Earthless. Gli Earthless sono un power trio già sulla scena da parecchio tempo. Vede nella sue fila Mario Rubalcaba, che nella carta d’identità nel campo professione ha scritto: batterista, chitarrista e skateboarder. Curriculum di tutto rispetto e pedigree che “viene dal punk e dal noise”: Hot Snakes, Rocket From The Crypt, Off!, giusto per citarne una manciata. I suoi soci sono Isaiah Mitchell (anche nei Golden Void) e Mike Eginton e insieme sono una bomba heavy psichedelica. I loro esordi sono sulla super indie stoner Tee Pee Records e sono un must-have per ogni appassionato del genere; recentemente hanno firmato per Nuclear Blast, nota per rovinare i gruppi e non portarli al successo. Ecco che Black Heaven, il primo disco per la semi-major metal, è per la prima volta cantato e formato da canzoni eppure, stranamente, non è per niente male. Ma oggi, per fortuna, tornano alla formula pezzi lunghi 20 minuti e tanto sfattume. Night Parade Of One Hundred Demons è un discone lisergico, un trip per vecchi stoner punk cresciuti a canne e The Process Of Weeding Out. Fatelo vostro. E per favore non urlate alle nuvole: fatele con i vostri bong ascoltando gli Earthless.