HYLE, Weapons I’ve Earned

Le Hyle ci avevano colpito in modo favorevole già con il 7” Malakìa, tanto che avevamo voluto approfondire la conoscenza in sede di intervista. Per questi motivi siamo contenti di trovarci oggi alle prese con il loro primo album: otto brani che spostano ulteriormente il sound della formazione e presentano all’ascoltatore un assalto sonoro in cui crust, death metal e infiltrazioni sludge si fondono in quello che una volta avremmo chiamato stench-core (Hellbastard anyone?). Il risultato è una raffica di anthem in cui velocità e pesantezza, vocals urticanti e suoni sporchi – ma non confusi – concorrono a costruire un macigno che non presta il fianco ad ammorbidimenti o cali di tensione.

Da notare anche la reiterazione dei riff di chitarra, particolarmente evidente nella traccia che dà il titolo all’album, che dona un effetto straniante a metà tra passione e meccanica, umanità e tecnologia, quasi a voler canalizzare l’indole ferina della scrittura per portarla con precisione sul bersaglio. La maggiore profondità e articolazione nella stesura dei brani non ha, quindi, stemperato la furia iconoclasta della band, che continua a legnare senza sosta; piuttosto sembra aver trovato un modo per ottimizzare i colpi e aggiungere maggiore forza d’urto agli stessi proprio grazie a cambi di tempo, stacchi improvvisi e, in generale, ad una continua tensione che impedisce all’ascoltatore di inserire il pilota automatico.

A tratti si potrebbero chiamare in causa i primi Bolt Thrower e quella scena UK in cui i confini tra crust e death si andavano assottigliando nel modo giusto (almeno per chi scrive) ovverosia mettendo la potenza del metal al servizio di un’attitudine consapevole, senza per questo appiattirsi su un’unica forma espressiva.

Ciò che rende attuale il suono di Weapons I’ve Earned è un nervosismo palpabile e una migliore fusione tra le varie componenti, ormai completamente libere dalle divisioni e dalle etichette che in qualche modo affliggevano le formazioni del vecchio millennio. In fondo ormai siamo nell’epoca del post-tutto e della fluidità che stanno liberando dai pregiudizi non solo il pensiero ma anche la sua espressione in note.

Le Hyle ottengono quindi una vera e propria comunione di intenti in cui ogni elemento della proposta contribuisce a esprimere un’insofferenza palpabile a qualsiasi dogma e la forma si fa a sua volta espressione della sostanza.  Tutti questi ingredienti fanno sì che Weapons I’ve Earned confermi e, anzi, rafforzi le ottime impressioni ricevute dal debutto e ci portino a consigliare ancora una volta questa realtà che, per inciso, comincia a catalizzare attenzione anche a livello internazionale.