FRODE HALTLI, Avant Folk II

Quattro brani, quattro temi composti da Frode Haltli e montati, riletti, smembrati e impastati da una superband che vede presenti alcune delle figure più intriganti del panorama folk, jazz e improvvisativo della Oslo-area.

Volti nuovi (o quasi) come Hans P. Kjorstad – già con Andreas Røysum ed Egil Kalman in Miman – e Juhani Silvola, chitarrista folk e pregiato compositore di musica acusmatica, come dimostrato nel suo debutto Post-biological Wildlife, si uniscono a vecchie conoscenze come Hildegunn Øiseth e Rolf-Erik Nystrøm, che con Haltli condivide anche l’esperienza di POING.

L’identità del lavoro si configura attorno a un’idea di base molto classica, quella della reinvenzione a partire dalla tradizione, che si snoda attraverso un sistema di commistioni, innesti ed intersezioni senza alcuna intenzione filologica. Ci troviamo infatti di fronte a qualcosa di nuovo e liberamente tratto da che, come buona parte del nuovo folk norvegese, è animato da una spinta creativa e non interpretativa. Nelle loro modalità di interazione, i musicisti coinvolti seguono un sistema tipico del jazz più tradizionale: temi espliciti, improvvisazioni individuali, scambi e strutture intelligibili. D’altronde, è lo stesso Haltli a parlare di una “mini big band […] ispirata dal passato e dal presente” che agisce all’interno di questo solco al netto delle radicali differenze timbriche che la contraddistinguono. Viene tuttavia da chiedersi se stiamo ascoltando davvero del folk reinventato o soltanto del jazz travestito.

Sul piano prettamente sonoro, questo disco si caratterizza per la splendente brillantezza che riguarda tutti i timbri utilizzati: una pulizia e una chiarezza quasi eccessive che pervadono anche i momenti più crepuscolari dell’album, finendo per negare qualsiasi forma di contraddizione o di dualismo. “Nordlys” ne è l’esempio più evidente: l’elegia notturna della tromba iniziale viene infatti subito associata ad una costellazione di suoni che si dispongono armonicamente nella ricerca di un archetipo di incontestata bellezza e appiattiscono la gamma delle possibili sfumature emotive, filtrando via l’ansia, l’indecisione, il disagio e la sorpresa che altrimenti scolpirebbero l’esperienza di un viaggio in notturna oltre il circolo polare. Una cosa simile accade anche nell’ultimo brano “I Østen Som I Vesten”, che sembra volermi traportare lontanissimo dalla Scandinavia, quasi verso il Sahara dei Tinariwen o di Mdou Moctar, ma non riesce mai sul serio a compiere quello scarto necessario per trasformare la volontà di rappresentazione in ciò che più semplicemente è.

Possiamo concludere dicendo che il vero valore aggiunto di questo lavoro sta nella perizia tecnica dei musicisti che partecipano all’operazione, che si confrontano con i materiali a loro disposizione con una consapevolezza magistrale. Tra tutti spicca Rolf-Erik Nystrøm, che col sassofono fa ciò che gli pare. Tra le sue mani quello strumento può diventare tutto: un sintetizzatore digitale, una bestia imbizzarrita, un pietoso animale moribondo.

Sono più che sicuro che un lavoro del genere potrebbe godere dal vivo di un livello di energia che forse non è in grado di emergere del tutto nella sua trasposizione discografica, e se avessi l’opportunità di incrociare questa formazione in uno dei numerosi festival che abitano l’ambiente musicale di Oslo, non me la lascerei scappare.

Infine, Hubro Music si conferma per essere senz’altro una delle etichette discografiche più attente all’esplorazione degli interstizi musicali che separano il jazz d’avanguardia e il contemporaneo dalle altre forme più convenzionali. Del resto, la Norvegia ci ha abituato da tempo all’idea che il musicista moderno debba essere versatile e aperto ad affrontare qualsiasi tipo di grammatica. Nel misurarsi con questa specifica questione, il disco di Frode Haltli non fa eccezione e si presenta comunque come un ascolto piacevole.