DEAFKIDS

Deafkids

A volte, quando si parla di musica, si usano gli aggettivi innovativo, originale o coraggioso un po’ alla leggera, ci si fa prendere dall’entusiasmo e ci si butta con la foga del momento. Non crediamo sia il caso dei Deafkids, una delle realtà più interessanti in cui ci siamo imbattuti di recente, non tanto e non solo per la musica proposta, quanto per ciò che si cela dietro ad essa, a livello ideologico, concettuale e persino programmatico. Di questi aspetti e di molto altro ancora abbiamo parlato con Mariano, batterista della band e interlocutore oltremodo disponibile, il quale oltre a parlarci del nuovo Metaprogramação ci ha offerto vari spunti su cui riflettere e approfondire. In questo caso almeno, dietro la musica si cela una visione globale che tocca differenti aspetti della vita dei musicisti coinvolti e della società in generale. Buona lettura.

Se li paragoniamo ai vostri lavori precedenti, si ha l’impressione che con Configuração Do Lamento e Metaprogramação abbiate deciso di lasciar perdere la tradizionale struttura dei brani: tutte le tracce di questi dischi appaiono come parte di un’unica composizione allargata. Cosa si cela dietro la decisione di adottare questo approccio alla scrittura? 

Mariano (batteria): È difficile descrivere cosa abbia causato questo cambiamento, perché si è trattato di un processo con molti fattori determinanti: viviamo insieme, uniamo le nostre influenze reciproche, abbiamo un comune interesse per qualsiasi tipo di musica dalla forte componente percussiva, psichedelica e futuristica, e così via. Sentiamo che le emozioni che vogliamo incanalare siano espresse meglio in questa forma, in cui il contenuto musicale e testuale non vengono disposti in modo gerarchico, ma diventano un’unica entità per diffondere un messaggio che coinvolge di più i vari sensi.

Le percussioni ricoprono un valore determinante nel vostro suono. Direi che possiamo tracciare una linea con la cultura e la tradizione brasiliana, ma è anche chiaro come lavoriate su questo elemento in modo creativo, soprattutto distante da ogni aspetto conservatore. C’è un’idea specifica dietro a questo?

Apprezziamo molto la musica dalla forte componente percussiva e, via via che ci siamo evoluti come musicisti, abbiamo volute esplorare sempre più il ritmo e la sua complessità. Credo che ciò che colpisce di più le persone sia il guardare a questi aspetti come tribali o primitivi, il che uccide ogni loro possibilità di rappresentare il futuro. L’approccio conservatore alle percussioni va a toccare restrizioni di genere, perché le persone non sono abituate a un approccio più fluido e fisico alla musica, qualcosa di fondamentale per navigare nelle pulsazioni. Questo tipo di suoni non è presente solo nella nostra musica ma in molti altri luoghi e culture nel Mondo, quindi non è legato al passato ma è vivo e pulsante, e può essere plasmato e combinato con qualsiasi risorsa tecnologica vogliamo.

I compositori minimalisti (vedi Steve Reich) usavano la poliritmia, le band post-punk usavano stili di percussioni etnici (ad esempio 23 Skidoo), i musicisti industrial cercavano di ottenere suoni di batteria primitivi (Einstürzende Neubauten, Test Dept.): vi sentite in qualche modo influenzati anche da questi artisti del “primo mondo” o preferite restare focalizzati sulla vostra cultura e sul vostro background?

Credo ci influenzi qualsiasi musica in grado di colpirci, il che include di sicuro alcuni dei nomi che hai citato. Comunque, restiamo più interessati a costruire questo ponte tra passato e futuro, il che ci porta in un luogo differente: a molte di queste band mancavano un certo tipo di rapporto e di background con le percussioni e con lo stesso concetto di ritmo, ma loro avevano altri elementi che invece noi non esploriamo. Non ci sentiamo influenzati solo dalla nostra cultura, ma anche da forme di espressione musicale provenienti dall’India, da molti Paesi dell’Africa,  dalla musica afro-latina e così via. Esiste un determinato sentire specifico nella musica che può provenire solo da quei luoghi, da quel tipo di relazioni e questo è ciò che ci ispira.

La vostra Nazione ha affrontato un importante cambiamento politico. Credete che Metaprogramação sia stato influenzato dall’attuale scenario?

Senza dubbio. I problemi e i traumi che l’album porta alla luce sono sia politici che personali e ci intrappolano in un circolo vizioso di azioni e pensieri avvelenati. Questo si riflette anche nel rapporto che il Paese ha con il potere, oltre ad influenzare allo stesso tempo le strutture familiari e le relazioni interpersonali. La reazione della destra è parte di un più vasto processo a livello mondiale, nel quale la paura diventa la norma. In ogni luogo viene sfruttata una differente paura, così da trasformare la politica in un gioco di dominio anziché in momento di consapevolezza.  I mezzi per cambiare il corso degli eventi sono nelle loro mani: l’istruzione e la consapevolezza non hanno più valore per la maggioranza della popolazione, specialmente se si vogliono lasciare le cose come sono, con cortine di fumo sempre più spesse per distrarci dalle azioni di cambiamento realmente efficaci. Ci piacerebbe poter diffondere una scintilla per poter mutare la situazione.

Credi che l’attuale svolta a destra/conservatrice nello scenario mondiale aiuterà la scena musicale e, più in generale quella artistica, a recuperare un ruolo nel dibattito politico? Penso al Tropicalismo negli anni Sessanta e ad artisti come Gilberto Gil, Caetano Veloso, Maria Bethania, Gal Costa…

È un’eventualità, ma non possiamo permetterci di contare su questo, abbiamo raggiunto questo scenario per la nostra incapacità (cui vanno aggiunti altri aspetti) di dialogare con persone differenti da noi, restando isolati nelle nostre bolle sociali dove tutti hanno accesso all’informazione. In quegli anni in Brasile accadevano molte cose e la Guerra Fredda era ancora una realtà, per cui era ancora vivo un senso di utopia, quindi un contesto molto differente. Oggi molte persone si sentono sopraffatte dai poteri che circondano le loro vite: ad esempio, è più facile immaginare scenari post-apocalittici o che il Mondo incontri la sua fine, anziché la fine del capitalismo. Credere in un simile cambiamento vorrebbe dire sovrastimare la possibilità che le cose si risolvano senza un nostro intervento. Sono passati tre anni dall’elezione di Trump e le cose non sembrano essere cambiate molto. Allo stesso tempo, è facile prendere posizioni politiche in grado di diffondersi solo tra chi ha già la nostra stessa visione e le nostre stesse opinioni. Spero che riusciremo a trarne una lezione e a creare nuovi paradigmi, sia a livello estetico che sociale.

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Ora vivete tutti a São Paulo: com’è la scena musicale della città? Siete amici dei Basalt e siete appena stati in tour con le Rakta, band con approcci assai differenti, ma allo stesso tempo sembra legarvi un filo comune. Avete altri nomi interessanti da suggerirci?  

São Paulo è un luogo irrequieto con molte cose che accadono. Il nostro tour con le Rakta è nato in modo naturale, visto che siamo amici e abbiamo molti interessi in comune, soprattutto quello per ciò che rende la musica coraggiosa. Ci sono molti progetti in divenire: il grindcore dinamico dei Test, i beat elettronici dei Teto Preto, i Felinto che portano una prospettiva “black” nella loro musica elettronica. Sembra un tempo in cui la gente è interessata a superare gli steccati di genere e questo lo rende un momento molto interessante.

Cosa mi raccontate del tour europeo e degli eventi cui avete partecipato? Quali le differenze più importanti che avete notato tra il pubblico europeo e quello brasiliano?

È stata davvero una bella esperienza. Abbiamo avuto l’opportunità di suonare in alcuni festival fantastici, ad esempio il Roadburn, l’SWR e il DonauFestival, così come l’occasione di visitare il Galles e il Portogallo per la prima volta. Di sicuro ci siamo divertiti. È difficile, in realtà, rispondere alla tua domanda, ma se da una parte l’Europa ha una sua comunità di musicisti che si spostano insieme, dall’altra ci sono umori e modi di vivere differenti in ogni nazione, il che rende le cose di volta in volta diverse. Il Brasile invece ha contesti molto differenti, ma anche un progetto comune che li lega. L’Europa, sembra essere più divisa in scene specifiche, quindi sembra più separata in termini di connessioni create. In Brasile, invece, se ti sposti spesso, suonerai con molte band diverse, alcune delle quali non hanno nulla in comune con ciò che stai facendo tu, il che è una cosa positiva.

Avete ospitato i Petbrick (Iggor Cavalera and Wayne Adams) su Permanent Dystopia: Configuração Do Lamento Remixes e loro vi hanno raggiunto sul palco del Roadburn. Vi va di raccontarci qualcosa di questa collaborazione e sul ruolo rivestito nella vostra formazione dai Sepultura con il loro approccio al tribalismo?

Avere i Petbrick nei remix dei nostri brani e suonare con loro al Roadburn è stato incredibile. Sono persone fantastiche e quello che facciamo si sposa benissimo. Siamo entrati in contatto con Iggor dopo l’uscita di Configuração su Neurot e gli abbiamo chiesto di lavorare ad un remix. Lo ha fatto con i Petbrick, così quando abbiamo suonato a Londra lo scorso anno è venuto al concerto e ci siamo conosciuti di persona. In quell’occasione abbiamo accennato al Roadburn e ci ha detto che gli sarebbe piaciuto fare qualcosa insieme in quella occasione. Abbiamo proposto la cosa agli organizzatori che hanno subito aderito, così è nato tutto. Credo che il tipo di esplorazione sonora che portano avanti si adatti perfettamente al nostro modo di lavorare. Siamo onorati di aver collaborato con Iggor e Wayne, sono sicuro che la cosa si ripeterà.

I Sepultura sono un punto di riferimento mondiale, non solo per la qualità della loro musica, ma anche per il loro legame con il terzo mondo, così come per le loro prese di posizione senza compromessi. Molte delle loro innovazioni hanno cambiato la musica odierna e lo stare con Iggor, l’avere l’opportunità di conoscere l’uomo che vi ha preso parte – oltre ad essere una persona incredibile – è qualcosa di assolutamente appagante.

Questa non è la prima volta che ospitate musicisti esterni sul palco, penso ad esempio al tour con i Test e la vostra interazione durante i live. Credete che questo sia collegato con la volontà di osservare la vostra musica da prospettive diverse e di variarla oppure, semplicemente, col desiderio di condividere momenti speciali con questi musicisti?

Fa tutto parte del provare a espandere ciò che facciamo in quanti più modi possibili. I ragazzi dei Test sono amici stretti e, durante i loro set, ogni tanto mi affaccio per suonare le percussioni mentre Douglas si occupa degli effetti. Credo che il provare ad ottenere punti di vista differenti e l’interagire con personalità diverse rappresentino in realtà un unico aspetto. La musica è di per sé collettiva, sociale, e più si creano e sviluppano interazioni, più si ottiene da lei.

In questo periodo siete concentrati esclusivamente sul promuovere il nuovo disco dal vivo o avete anche già qualcosa in cantiere per il futuro?  

Suoniamo molto dal vivo, ma registreremo qualcosa di nuovo nei prossimi mesi. Questo, però, è il futuro, per ora vogliamo suonare in giro quanto più possibile e visitare vecchi e nuovi luoghi per incontrare vecchi e nuovi amici.

Grazie mille per il vostro tempo e le vostre risposte, sentitevi liberi di concludere questa chiacchierata con le informazioni che avete voglia di condividere e ciò che pensate vada aggiunto.

Grazie a voi per averci offerto l’opportunità di condividere le nostre idee e, ovviamente, per le domande davvero stimolanti. Potete trovarci su Facebook, Instagram, Bandcamp e in giro a suonare. Grazie a tutte le persone meravigliose che ci sostengono e ci aiutano a fare la nostra cosa. Non permettete che vi programmino.

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