DALILA KAYROS, TRANSMUTATIONS [I] yin side

Transmutations

Dalila Kayros non ha scelto la via più semplice, cioè quella della continuità. E dire che le cose le stavano andando decisamente bene, visto ad esempio che il suo primo album solista, NUHK, aveva ricevuto recensioni entusiastiche. Era stata giustamente sottolineata la rielaborazione personalissima della tradizione folklorica sarda, che passava per i temi e per la lingua utilizzata. Ma Dalila, come solo i veri artisti sanno fare, ha deciso di mettersi alla prova con qualcosa di diverso. Il titolo, TRANSMUTATIONS [I] yin side, non potrebbe dunque risultare più appropriato.

Qui non troverete urla stregonesche e filastrocche occulte, né le corde vocali spremute al massimo come nei SYK, la band metal estremo di cui è vocalist. In questo lavoro le atmosfere, anziché oscure, si fanno “lunari” (d’altronde, il nostro satellite costituisce il tema principale dell’artwork). La voce di Dalila, vera protagonista di tutto, dimostra di possedere molteplici risorse: è melodiosa e dolce, anche se è una dolcezza che conserva una sfumatura diabolica. Il timbro cristallino e l’ampia estensione vocale, con un corposo utilizzo dei registri alti, mi hanno fatto pensare – non si offenda nessuno – a Jeff Buckley in un’inedita versione femminile, solo che al posto di un’anima tormentata a esprimersi è un’entità eterea.

Le basi rappresentano anch’esse una novità. La composizione è minimal e lineare, decisamente meno “sperimentale” che in passato, con l’onnipresente drum machine a mantenere l’ordine. Il risultato è un elettropop con venature gothic, esemplificato dall’inserto dell’organo in “Portal”.

Il tema generale del disco, come si intuisce dal titolo, è lo yin side, ovverosia il lato nero dello yin e yang, concetto fondamentale del pensiero cinese. Esso rappresenta le energie statiche, passive e oscure, laddove lo yang rappresenta la luce, la chiarezza, l’attività.

È significativo che in TRASMUTATIONS [I] non sembri esserci svolgimento, bensì contemplazione interiore. I testi – questa volta in inglese – sono in effetti criptici (è il titolo della seconda traccia), come se attraverso un portale (che per aprirsi richiede una tempesta violenta, forse addirittura la morte) si accedesse a una dimensione altra, dove si incontrano i limiti della coscienza. Ricorre la figura del dragone, che nella finale “Circle” diventa un serpente affamato. La figura del cerchio e quella del serpente non possono che farmi venire in mente l’eterno ritorno nietzschiano, ma forse è solo una mia deformazione “professionale”, dunque ognuno potrà cimentarsi a trovare il proprio senso ai versi di Dalila.

Ci rallegriamo per questo disco che – pur musicalmente accessibile – conserva in profondità un lato complesso, sempre in tensione. Aspettando il prossimo capitolo, lo yang side, che sicuramente ci offrirà qualcosa di diverso, ci godiamo questo viaggio nei meandri della mente.