Mutilati dai Rotorvator

Rotorvator

Visti due anni fa live a Padova assieme a Riparbelli, con un look dimesso à la Liturgy che tanto fa incazzare i metallari, i Rotorvator da Belluno mi avevano incuriosito per il mix tra industrial e black metal e la formazione voce (screaming) più chitarra più “macchine”. Oggi, nel 2013, li trovo su Crucial Blast, che li inquadra giustamente come un possibile raccordo tra la generazione anni Novanta di Mysticum, Dødheimsgard, Thorns e quella black noise anni Zero dei vari Nekrasov, Wold, Utarm… A descriverli così, insomma, una bomba (sporca). Bisogna aggiungere che il gruppo non segue per forza questo schema: tra le varie uscite carbonare che ci sono state prima dell’album, infatti, scelgo di parlare di The Blues, pubblicato su nastro dalla Sangue Disken di Milano e con il signor James Plotkin al mastering. Di The Blues rimane in testa la collaborazione con Comaneci, un pezzo dove i Rotorvator (c’entrano i Coil col nome?) mettono in primo piano la voce dell’ospite Francesca Amati e riconvertono il loro sound in qualcosa di noir e ambient, nel quale – come succede spesso in questi anni – il riff black va a fare da texture, quasi a dire che le idee non mancano e non mancano i mezzi per realizzarle. A un pezzo che fa fede al loro stile come quello iniziale o al caos di “Black Canyon” affiancano poi un brano mezzo malato mezzo psichedelico (“Gloria”), che secondo me dentro ha anche qualcosina dei Ministry.

I Vivi E I Morti

Rotorvator

I Vivi E I Morti esce per Crucial Blaze, cioè la Crucial Blast quando fa edizioni limitate, particolari dal punto di vista del formato: qui la confezione sembra quella di un dvd e il booklet è un mix di collage più arty e ironici (à la Black Dice, per capirci). Anche ne I Vivi E I Morti c’è la mano di James Plotkin per il mastering, mentre in sala di registrazione c’era Marcello Batelli dei Non Voglio Che Clara, oggi in tour col Teatro Degli Orrori. In questo debutto vero e proprio, a livello di violenza metal, i ragazzi stanno poco sotto i fratellastri norvegesi nominati prima. L’inizio dell’album è scorticante, meccanico (drum machine) e bestiale (ottima voce) allo stesso tempo: “Ad Sanctos” oggi quasi se la gioca con gli Stagnant Waters di mr. Zweizz. Lo stesso discorso vale per “I Morti”: drum machine nevrotica, voce all’altezza del compito e chitarra thrash/black come da tradizione, così come da tradizione sono le accelerazioni immediate e improvvise, senza crescendo, che danno appunto quell’idea di automatico e disumano. Non male anche le tracce nelle quali i tre rallentano e provano qualcosa di diverso dall’assalto frontale. Non so bene dove sia il trucco dei Rotorvator, probabilmente è quello di non essere metallari, ma nemmeno più “noisers”: né davvero preparati tecnicamente né dei felici sprovveduti, sanno ormai colpire dove vogliono, quando vogliono, ma senza perdere spontaneità e stranezza. Va detto che, a differenza che nella cassetta per Sangue Disken, qui non vanno proprio a briglia sciolta, forse perché su una realtà un po’ più in vista vogliono giocarsela anzitutto rimanendo “solo” entro recinti extreme metal e post-industriali…

Sono molto curioso di vedere come rendono ora dal vivo: il problema in questi casi è sempre fondere bene circuiti e musicisti veri, e saper far fronte ad eventuali imprevisti. I Genghis Tron, loro simili e loro predecessori su Crucial Blast (tout se tient…), dal vivo qualche problema ce l’avevano avuto quand’erano passati in Italia, pur essendo straordinari su disco. I Rotorvator non sono ancora all’apice della loro parabola e tutto lascia pensare che possano farsi un nome nell’underground estremo, anche se di questi tempi i gruppi spariscono dopo un minuto…