C2C Festival 2023

foto di Fabiana Amato

Torino, varie location.

Il Club2Club ormai non ha più bisogno di particolari introduzioni. Due lettere e un numero che da più di vent’anni sono sinonimo di sperimentazione, avanguardia, folle oceaniche e tanta cassa dritta. L’appuntamento del 2023 arriva dopo l’edizione del ventennale, un compleanno festeggiato con grandiosa partecipazione e con un risultato che aveva rafforzato la posizione guadagnata da C2C rispetto agli altri grandi eventi europei, grazie a una selezione sempre certosina di lineup fortemente proiettate verso il futuro, bilanciate tra grandi set d’autore e sperimentazioni che per magia coesistono nel gioco di luci e ombre del Lingotto. L’appuntamento numero 21 (targato col criptico claim “IL MONDO”) ha ulteriormente confermato tutti i pregi del C2C, mettendo allo stesso tempo in risalto tutti i piccoli dettagli da aggiustare per stare veramente al tavolo dei grandi. Leggendo il programma si notava subito che quest’anno la direzione creativa si era sbilanciata più verso le chitarre elettriche che verso le consolle, continuando una naturale parabola di ricerca artistica che strizza l’occhio a un pubblico di nicchia senza dimenticare nomi di più largo appeal presi dall’universo del clubbing mondiale.

Camminando sotto la Mole nella prima settimana di novembre si ha sempre l’impressione che la città inglobi con amore materno il suo figliol prodigo musicale, esplodendo in multipli eventi trasversali e facendo fiorire la natura giovane e vibrante della capitale sabauda. Molti gli appuntamenti collaterali, con una presenza capillare che varia dai talk organizzati in collaborazione con Resident Advisor ai workshop ed eventi del “C2C HQ” ospitati da Combo, fino ad arrivare all’innovativo “C2C KIDS”, format che pone al centro la musica come mezzo con cui esplorare nuove forme di apprendimento per i più piccoli. Tutti appuntamenti che hanno fatto da cornice alla classica tre giorni di festival, suddivisi sempre tra l’apertura di giovedì alle Officine Grandi Riparazioni e il dittico venerdi/sabato al Lingotto, la storica casa del festival. 

Giovedì 2

Le OGR aprono le loro porte per una serata più “intima” con cui aprire le danze. E che danze. Entro in sala poco prima del set di Rachika Nayar, che per l’oretta seguente ci delizia con un set minimale e densissimo, con i subwoofer dell’impianto messi a dura prova dai giganteschi synth notturni della sua elettronica e dagli arpeggi di chitarra elettrica, usata dalla ragazza statunitense come ulteriore layer atmosferico. L’ultimo disco Heaven Come Crashing brilla di luce propria in un concerto che convince dal primo all’ultimo secondo. Col sorriso sulle labbra mi approccio alla prossima band, ancora ignaro di quello che mi si parerà davanti. Il frontman Cole Haden arriva riempiendo il palco con la sua totalizzante presenza queer, innescando la miccia di un concerto violentemente sexy, la perfetta dicotomia dei Model/Actriz. I pezzi del fantastico debutto Dogsbody (uno dei migliori dischi dell’anno) ci vengono lanciati addosso con furia primordiale, tra blastbeat casuali, urla screamo e sfuriate dance-punk che infiammano il pubblico. Non si rimane fermi un attimo, il sudore scorre a fiumi. L’ultimo atto della prima serata vede la comparsa della vera madrina di questa edizione, l’osannata Caroline Polachek, che per questo giovedì ha in programma un dj set per scaldare gli animi in vista del suo live del giorno seguente. Vado dritto al punto dicendo che se la cava meglio a cantare piuttosto che a mixare. La performance ci mette un’eternità a decollare, prendendo da subito le sembianze di una playlist sbucata da una festa trendy delle superiori per ragazzine cresciute sul web. Mi giro attorno e vedo un grande entusiasmo, ma quello che sento è solo un grande pressappochismo, ma va bene lo stesso: da metà in poi le scelte e i mix migliorano, mi faccio una ballata su qualche pezzone targato PC Music, ingoio la polemichetta e vado a nanna.

Venerdì 3

Il Lingotto. Caro vecchio amico, ci risiamo. Arrivo alla venue con colpevole ritardo, perdendomi Marina Herlop (…). Facendo un primo giro tra i due palchi noto che il secondo stage quest’anno è stato ridimensionato, con un settaggio molto più piccolo organizzato come un vero e proprio soundsystem dietro al quale si rifugiano gli artisti, che da dietro le quinte dirigeranno le danze della platea. Dietro al muro di casse ascoltiamo il duo Space Afrika, che fan il compitino con un set forse un po’ troppo tamarro rispetto alle vibrazioni che solitamente lo contraddistingue su disco. Subito dopo mi fiondo verso il primo nome che avevo cerchiato col pennarello rosso sul programma: Two Shell. Il duo segreto compare sul main stage adornato da tuniche, posizionandosi sul suo altare ateo e consegnandoci un set incredibile, impreziosito da visuals ad hoc che illuminano a giorno il padiglione. I break hardcore e le atmosfere trance scaldano l’aria, con scelte divertentissime che scoperchiano la testa (come dimenticare il mashup tra “Complicated” di Avril Lavigne e “Avril 14th” di Aphex Twin). Ottima scelta per iniziare la serata. La sala poi si riempie come un uovo per Caroline Polacheck, che ci delizia con la performance che ci si aspettava da lei: presenza strabordante, voce sovrumana e band d’accompagnamento degna di nota. Tutto al suo posto, per un concerto che alza già di molto l’asticella di questo C2C. Tocca poi agli Overmono cercare di alzarla ulteriormente. Il duo inglese, feticcio di molti appassionati dell’house made in UK, sfodera un set a 360 gradi costellato di virtuosismi, drop assassini e grandi aperture melodiche. Qualche piccola pecca dovuta all’inesperienza non sporca una presenza convincente. I miei occhietti stanchi chiedono pietà, ma mi sforzo di resistere per l’ultimo set, quello di Evian Christ, enfant prodige della trance moderna uscito recentemente con un debut album fulminante (e fulminato). I miei sforzi per rimanere non si rivelano vani, e vengo ripagato con una performance gargantuesca che ci pettina con furia omicida. L’intensità e la totalità del suono del producer inglese sono qualcosa di fortemente fisico, con le mitragliate hard trance a sostenere i nostri corpi e i visual al limite dell’epilessia ad attaccare le nostre pupille. Grandissimo spettacolo.

Spettacolo meno edificante è la fila chilometrica al guardaroba, che mi trattiene per 40 minuti abbondanti e mi fa salire un primo sentimento di rassegnazione per un festival che ogni anno non riesce a fare quel salto di qualità nella logistica che effettivamente ci si aspetterebbe. Un guardaroba solo per un intero festival ci sta strettino, come le postazioni bar prese d’assalto già da questa prima serata. Ma avremo tempo di parlarne più avanti.

Sabato 4 

Dopo una bellissima giornata di sole mi appresto a immergermi nuovamente nel buio pesto degli hangar del Lingotto, con un personale programma che vede dominare il main stage a discapito (purtroppo) del secondario Stone Island Stage, che per questa seconda serata è monopolizzato dalla squadra di PAN per festeggiare i 15 anni dell’etichetta. Arrivo sulla coda di Slauson Malone 1, e sul palco vedo un violoncellista e un chitarrista urlante. Se c’è qualcosa definibile come “avant-pop” direi che sono questi due, saliti alla cronaca come i nuovi antesignani del rap sperimentale. Però, come dicono gli albionici, not my cup of tea. Sperimentale anche il prossimo act in programma, ovvero Yves Tumor. Il ragazzo di Miami sfodera una presenza istrionica, cercando di mettere una pezza a problemi di sound che minano lui e la band. Le sue movenze sul palco lo fanno sembrare sempre sul punto di staccare tutto e andarsene, ma il tiro nonostante tutto c’è, con il classico art punk ipnagogico a straniare la folla. Nota di merito per la sua comunicazione non verbale (vedi alla voce: mimare fellatio con l’utilizzo della telecamera a bordo palco). L’act successivo è l’attesissimo King Krule, e i problemi tecnici paiono subito un brutto ricordo. Il rossissimo inglesino sfodera un concerto da star affermata, coadiuvato da una band di alto livello che mi fa dimenticare quanto su disco non riesca più ad amarlo come una volta. Dal vivo invece convince, facendoci divertire dal primo all’ultimo secondo e deliziando la folla più numerosa di questa tre giorni. Il main stage però rimane densamente popolato anche per il ritorno di Flying Lotus, che ci spara un dj set in totale controllo, volando tra rap, trap, funk, techno e tutto quello che ci sta in mezzo. Solo la grande mano del ragazzo di L.A. può barcamenarsi in questo guazzabuglio sonoro, facendo ballare anche i muri. Non ci resta che fare un ultimo salto sullo stage secondario, dove Bill Kouligas sta trapanando le menti delle giovani cavie poste di fronte al sound system, bucolica visione finale per accomiatarsi dal C2C anche per quest’anno. Senza però dimenticare un’altra simpatica fila oceanica per riprendersi la cauzione del bicchiere.

Tirando le somme, le luci di questi tre giorni sono state tantissime, sparse come un firmamento luminoso tra il cemento della Fiera di Torino, che come sempre ha sciorinato la sua magia diventando ancora una volta catalizzatore di emozioni pure, un luogo dove la musica vibra con una purezza rara. Difficile spiegare cosa si provi nel mezzo di questa folla pulsante, cosi gloriosa e gioiosa da far dimenticare gli innegabili problemi logistici che ogni anno si ripetono con allarmante puntualità. Impossibile però negare gli sforzi titanici dell’organizzazione, che mai come quest’anno ha sfoderato una produzione (sia visuale che sonora) di altissimo livello. Di fronte a questo rito collettivo si riesce sempre a mettere da parte le ombre, tuffandosi nel mare di suono e lasciandosi trasportare dalla passione della musica del domani. Fino al prossimo novembre torinese.