BLACK MAGICK SS, Burning Bridges

Come un fulmine a ciel sereno il 15 marzo scorso è stato caricato su YouTube (accompagnato dal preordine fisico presso la loro etichetta di fiducia: Creep Purple Records) il nuovo album dei Black Magick SS, il quarto, che si aggiunge anche a numerosi singoli e 7” vari. A chi non li conosce si può dire tanto e poco allo stesso tempo. È appurato ormai che sono nati nel 2012 in Australia, più precisamente in Tasmania e che, nonostante o grazie all’aura di mistero che li circonda, sono diventati il riferimento per quello che si è evoluto in un vero e proprio genere e ambiente musicale a parte: le etichette si sprecano, ma una delle più utilizzate è “Magick Metal”, da attaccare sopra a pezzi con arrangiamenti che oggi si avvicinano alla classica NWOBHM, ma con forti tendenze psichedeliche grazie all’uso di organi e synth. Per inciso all’inizio, per via di alcuni parti vocali, qualcuno parlava di black metal, ma qui c’è molto cantato pulito. Tanti, in ogni caso, sono i momenti in cui sintetizzatori e batterie elettroniche prendono il sopravvento, regalando tracce synthpop che sono già diventate cult (“My Love”, “Get Out”…). Oltre a quello sonoro, altro aspetto importante è quello grafico/simbolico: spesso si vede una commistione tra elementi psichedelici tipici della cultura hippie di fine anni Sessanta/inizio Settanta e simbologia nazista, runica ed occulta, che ancora porta molti ad interrogarsi sulle tendenze politiche della band e su quanto sia tutta solo una provocazione. Detto questo, Burning Bridges ripropone le sonorità tipiche del gruppo non lasciandone fuori nemmeno una, ma con una maggior apertura all’elettronica. Questo era quasi prevedibile osservando la grafica di copertina, che accantona l’immaginario medievale/arcaico cui eravamo stati abituati e invita a un viaggio intergalattico. Come da tradizione, la traccia che apre il lato B, cioè la quarta dell’album (“Let Go”), è quella in cui il volto elettronico della band si vede chiaramente, con vibrazioni che sembrano prese direttamente dai Daft Punk. Ancora una volta numerose sono le melodie che entrano in testa al primo ascolto e con difficoltà se ne vanno (“Dinosaurs” è già un nuovo classico del gruppo). Uno dei rischi maggiori dopo undici anni di attività, per un gruppo che è diventato primo rappresentante di un intero genere musicale, è quello di diventare troppo autoreferenziale e di perdere l’ispirazione, ma non è questo il caso dei BMSS, che possono essere scoperti anche con questo ultimo Burning Bridges, semplicemente un nuovo passo lungo quel cammino psichedelico e occulto nel corso del quale il gruppo australiano ci fa da Cicerone, da ormai undici anni a questa parte.

P.S.: ulteriore cambiamento rispetto alla tradizione degli lp dei BMSS è che le canoniche sei tracce sono qui accompagnate da una ghost track che, con una produzione a qualità bassissima (sembra un bootleg rovinato dall’umidità di un live dei Doors o degli Iron Butterfly, ma con la voce di Uncle Acid & The Deadbeats) è la ciliegina sulla torta che riconferma la grandezza del gruppo.