ÅRABROT, Who Do You Love

Who Do You Love

C’è stato un tempo in cui, tra i massimi esponenti e le band neonate in uno stesso ambito musicale c’era tutta una vasta e coloratissima gamma intermedia. Non solo! In quegli anni l’intellettualismo era semplicemente un accessorio, come un orologio o un paio di orecchini, a corredo dell’identità musicale di un gruppo. Oggi è proprio tutt’altra musica. Oltre a riesumare vecchie mummie, per tenere su una parte dell’industria musicale le nuove leve vengono consumate alla velocità della luce e, se riescono a reggere l’urto, maturano e vanno avanti. Di conseguenza, sono sempre meno i casi di band longeve e costantemente attive. In pratica, quelle che sopravvivono dovrebbero possedere discrete qualità e, se una potesse poi vantare una carriera ultradecennale, andrebbe approcciata con un certo rispetto da parte di coloro che, come me, si apprestano a ficcare il naso nelle sue note. Sarebbe una buona prassi, almeno nel mondo reale che, fuori dallo schermo su cui state leggendo questa recensione, si contorce e si aggroviglia su se stesso come un boa impazzito. Quindi, come dovrei pormi nei confronti dei norvegesi Årabrot, che, attivi dal 2001, hanno appena partorito il loro nono album? Non so quanto senso abbia porvi questa domanda, dato che farò comunque come mi pare. Forse l’unico senso è che voglio mettere in chiaro il fatto di aver pensato e riflettuto su certe cose e che proprio certe riflessioni, corredate di ulteriori approfondimenti, hanno fatto maturare il mio parere.

Mi sembra che il titolo di quest’album e la copertina del precedente The Gospel abbiano un filo conduttore. Essere brutalmente scaricati o traditi dal proprio partner non è un’esperienza facile da superare. Sono cose che lasciano il segno; forse anche più di una grave malattia che, se non ti stende, una volta superata, magari ti fa vedere il mondo in modo molto più positivo. Dovrebbe saperlo bene Kjetil Nernes, unico compositore e chitarrista-cantante degli Årabrot, il quale, dopo aver sconfitto un cancro diagnosticato appena dopo l’uscita di The Gospel, sembra non essersi mai ripreso da una tremenda batosta sentimentale. Coraggio amico, puoi farcela! Condividere la tua sofferenza con il resto del mondo, mettendo in copertina una fica carnivora e intitolando l’album successivo Who Do You Love (senza punto interrogativo), non allevierà le tue pene. Immagino che lo stile di vita scandinavo non sia di grande aiuto. Poca luce solare e un freddo glaciale, effettivamente, non sono tra i migliori rimedi per questo genere di problemi. Fortunatamente hanno inventato i voli low cost! Hai la possibilità di catapultarti ai tropici o in qualsiasi altro posto prenotando tutto direttamente da casa. Pensaci! Un paio di mesi in Sicilia: clima sicuramente migliore, vulcani che eruttano lava come neanche nel nono girone dell’Inferno s’immaginano (altro che quei boschetti innevati in cui i tuoi compaesani si divertono a giocare ai vichinghi con la faccia pittata!), granite, vino, arancini, cibo a volontà, un’infinità di ristoranti da provare… impossibile essere tristi! Hai mai visto una persona triste in un buon ristorante? Io no. Comunque, piantala con tutte quelle arie da intellettuale, non ti giovano, e togliti dalla testa sta fissazione dei Black Mountain che fanno le cover dei Jefferson Airplane! Non riuscirai a nasconderti ancora a lungo dietro ai favori della critica raccolti con il precedente lavoro.