Almanacco di domani #4

Quello autunnale è un periodo di sovraffollamento in fatto di uscite discografiche, le etichette tutte a sprintare per pubblicare i propri dischi prima della fine dell’anno: è così che molte uscite interessanti rischiano di passare inosservate per poi esser recuperate magari più avanti. Periodo che accoglie i primi freddi, le giornate grigie e piovose, periodo di grandi ascolti, come quelli che provo a proporvi questo mese. Uno sguardo ampio come al solito, setacciando l’infinita distesa musicale, sperando di accompagnarvi in una serie di “fughe” capitanate dalla vostra mente.

ALBUM

ELECTRO / EXPERIMENTAL / TECHNO

ECTOMORPH, Stalker (Interdimensional Transmissions)

Ectomorph

Il progetto Ectomorph torna a vivere una seconda vita dopo che, per circa un decennio, era stato uno dei misteri della Detroit electro: mai ben precisati i membri ed i ruoli, mai del tutto chiariti i collegamenti con i Drexciya. Unica cosa certa, la musica. Una serie di ep pubblicati dalla Interdimensional Transmissions, creata ad hoc per veicolare il progetto e includere influenze affini come quelle di The Hacker, I-F, Alpha 606, Jamal Moss e altri ancora.
Solo negli ultimi anni, dopo un lungo periodo passato nell’ombra, Ectopmorph ha cominciato a riprendere l’attività, sia djistica che produttiva e radiofonica, circoscrivendo il tutto all’emblematica figura di Brendan M. Gillen coadiuvato da Erika Sherman. Musicalmente, facendo un piccolo passo indietro, i primi tre ep pubblicati durante il 1995 crearono un perfetto continuum con le pubblicazioni dei Drexciya, mostrando un lato meno melodico e più minimale del suono electro di Detroit e affondando su techno e acid in maniera più netta e decisa. Altra caratteristica, una certa propensione alla sperimentazione che includeva suoni meno radicati nel funk e strutture più astratte e inusuali rispetto alla media electro del periodo. Attitudine che troviamo ora sviluppata in questo album che di fatto è un esordio su lunga durata per il duo. Stalker è una narrazione dark per cervelli electro, scompone in maniera piuttosto radicale il vecchio suono Ectomorph per rigenerarsi in un antro cavernoso dove ambient, dark ambient, electro e techno vanno a nozze seguendo un cupo rituale.
L’album inizia con i raggi distorti di “Beyond The Six Realms” che preparano il terreno all’ibrido electro-techno di “Filthy Demands”, brano che viaggia con il freno a mano tirato tra riverberi e tastiere. “Agate” vira su un’estetica minimale, una sorta di anomalia rispetto al contesto generale, ma un brano deep techno intenso dall’estetica vitrea che ricorda alcune cose di Aleksi Perala. “Crawl Of The Cthulhu” torna nel limbo dove i sintetizzatori sono impegnati a emanare flussi scuri, un organo a brandire la melodia e il ritmo spezzato sullo sfondo di una visione apocalittica. “Mysteries (Of The)” continua tra rimpalli vitrei e un suono che sembra una tromba scarnificata. C-side con la title track a riprendere con più dovizia un certo discorso electro tra strati acidi, ribolìi e un vorticoso crescendo dal basso.
L’ipnotico groove minimale di “The Alarm” chiude il terzo lato tra palleggi plastici e gocce di cristallo, mentre il finale ci regala uno spettrale brano techno sperimentale dalle rarefatte coordinate wave negli oltre otto minuti di “Psychick Downfall” e una chiusura techno slow-tempo con i modulari a svarionare liberi.

AMBIENT / EXPERIMENTAL

JONATHAN FITOUSSI, Diagonals (Hands In The Dark)

JONATHAN FITOUSSI Diagonals

Il francese Fitoussi è attualmente uno dei più grandi interpreti della synth music. Nove album alle spalle con i quali ci ha condotti ogni volta in un viaggio differente nei meandri dell’elettronica, proponendoci lunghi flussi sonori dove le variazioni tonali, le evoluzioni generative e una spiccata capacità nel tenere alto il livello d’attenzione hanno contraddistinto una musica unica e pura. A differenza di molti suoi colleghi, inoltre, Fitoussi riesce a meraviglia nella difficilissima impresa di essere esteta del suono: troppo spesso ormai la sovraesposizione dei sintetizzatori e dei sistemi modulari ci ha offerto sì un ottimo ventaglio tecnico, ma a discapito della bellezza delle composizioni o dell’accuratezza del risultato finale. I dischi di Jonathan Fitoussi, invece, sono belli da ascoltare.
Diagonals è la registrazione di una sua recente esibizione live durante una serata londinese organizzata dagli amici di Bleep43, ed è divisa in due tronconi che occupano per intero ciascun lato del disco, per una durata complessiva di oltre quaranta minuti. Si parte con lunghi tappeti nebbiosi che salgono di intensità con il passare dei minuti, poi man mano si aggiungono elementi, una stratificazione creata tramite due delle macchine più celebrate di sempre, ovverosia l’EMS Synthi AKS e il Buchla Music Easel, gioielli utilizzati in passato dai più grandi compositori cosmici come da band del livello dei Pink Floyd. La purezza del suono e la sapienza nel mettere in sequenza e nel sovrapporre le diverse parti sono le caratteristiche che emergono maggiormente. Unite al gusto sopraffino del musicista, ci regalano l’ennesimo grandissimo album.

AMBIENT / EXPERIMENTAL

OCOEUR, Inner (n5MD)

È una storia coerente e piena di passione quella della n5MD, nata con l’intento di produrre Minidisc fin quando la Sony Music, proprietaria del brevetto, non decise di dismetterne la produzione in quanto ritenne il formato non aderente al mercato discografico. L’etichetta di Oakland non si perse d’animo e cominciò quindi a fare dapprima cd-r, poi sette pollici e in seguito anche lp e cd, il tutto mantenendo un focus sulla musica ambient elettronica sempre fresco e coerente con la sua filosofia.
Questo del francese Ocoeur è il quarto album per la n5MD, e ancora una volta torna a stupirci con un disegno musicale intenso e tenebroso, otto brani ambient con una narrativa che ondeggia tra vecchie memorie cosmiche, nuovo jazz elettronico e finissimo soundtracking con una gestione degli elementi molto ben calibrata e uno studio approfondito sulle tonalità che restituisce un suono fluido e pieno di calore. Melodie improntate sull’uso del piano classico come dei sintetizzatori, alternando momenti dal sapore tecnologico ad altri più meditativi sempre ricchi di dettagli realizzati, utilizzando timbriche di volta in volta diverse ed affascinanti.

AMBIENT / TECHNO

YAMAOKA, Selected Works: Fragmentary Memories (Indigo Aera)

YAMAOKA, Selected Works: Fragmentary Memories

Quello di Yamaoka è un progetto di una certa importanza per il suono elettronico del Sol Levante di ultima generazione. Moltissimi gli album pubblicati da quello che in prima battuta era un gioco a due tra Kenichi Oka e Yoshinori Yamazaki, in seconda, dal 2007 in poi, del solo Kenichi Oka. È importante perché specifico di un suono che fa del looping e del droning la sua caratteristica fondamentale, che poi unisce a un’estetica sonora tutt’altro che oscura come si può immaginare. Si occupa di questa musica la splendida Indigo Aera, che raccoglie in un doppio vinile dieci splendidi brani ambient e techno che offrono un’elegantissima palette per scoprire questo sottovalutato produttore. È materiale minimalista che cerca l’effetto ipnotico sia quando ci troviamo di fronte a brani d’ascolto, sia quando la matrice è dance. Bellissima l’apertura con “Skylight”, che sembra voler ripercorrere le gesta di dischi come Electric Counterpoint. Poi i timbri cambiano e i loop incrociano strade più sperimentali con un armamentario ben studiato di piccole sonorità elettroniche, a costruire un meccanismo complesso quasi al limite della trance. Ci sono quattro episodi in cui il ritmo entra prudente e si assesta con regolarità su flussi delicati di pad e tastiere levigando un suono techno etereo, mai sfrontato, dove il groove è catturato nel suo nucleo centrale e levigato per esser servito in tutta la sua essenziale potenza.

AMBIENT / JAZZ

C.A.R. – Look Behind You (Bimba Records)

C.A.R. - Look Behind You

Formazione svizzera di quattro elementi (sax, sintetizzatori, piano Wurlitzer, basso e batteria) al secondo album per la nuova e interessante Bimba Records: una serie di ingredienti che vanno a scolpire un suono jazz fortemente influenzato dall’elettronica tanto di stampo ambient, quanto kraut e post-rock. Il grosso di Look Behind You è proprio in quel connubio tra l’anima jazz più tradizionale data dal suono del sax e del piano, con delle partiture ritmiche che divagano molto passando da break di puro stampo jazz a sessioni più longilinee o altre progressive che trasportano i brani in altre direzioni. La componente elettronica non spiazza mai, perché modulata proprio a supporto di composizioni che vanno sempre alla ricerca di una melodia malinconica, notturna, fumosa. Formidabile il basso, che ispesseisce la trama dei brani attraverso dei crescendo ritmici, come nel potentissimo “Geez”. Un interessante lavoro di fusione di stili pronto a riscaldare l’autunno appena iniziato.

TECHNO / AMBIENT

WANDERWELLE, Gathering Of The Ancient Spirits (Silent Season)

Concept album ispirato agli ultimi anni di Paul Gauguin, artista che ha trascorso parte della sua vita tra Tahiti e altre isole della Polinesia francese e i cui dipinti sono famosi per il particolare utilizzo del colore e delle forme. Ed è proprio su quel lasso di tempo passato nelle Isole Marchesi che il flusso sonoro del secondo album dei Wanderwelle per Silent Season si incanala e crea le sue onde. È musica ambient in continua mutazione, plasmata da field recordings che restituiscono in maniera molto semplice ed efficace le atmosfere isolane attraverso cinguettii, suoni acquatici, percussioni e altri versi animali, il tutto accompagnato da tastiere, maracas, chitarre, voci e campanacci che completano un range molto evocativo e a suo modo anche originale. In alcuni brani la componente ritmica esce in primo piano accelerando per raggiungere coordinate techno naturalistiche dai toni morbidi e avvolgenti che danno voce a un rituale ambient-techno da ascoltare come se steste leggendo uno di quei romanzi che vi tiene col fiato sospeso dall’inizio alla fine.

 

EXPERIMENTAL / JAZZ

SZUN WAVES, New Hymn To Freedom (Leaf)

New Hymn To Freedom

La vecchia squadra della Border Community sembra aver trovato nuova vita in progetti che hanno a che fare con il jazz: prima James Holden con il suo The Animal Spirits, ora Luke Abbott con il suo gruppo Szun Waves, che giunge al secondo album e sigla un’importante collaborazione con una realtà di assoluto rispetto come la Leaf.
Questo New Hymn To Freedom è un disco speciale perché trova la quadra in un congiungimento perfetto tra la parte elettronica e quella strumentale, ma soprattutto perché riesce ad avere una direzione costante e concreta in un contesto troppo spesso adulterato come quello della psichedelia jazz. Un trio ben bilanciato con Jack Wyllie al sax, Laurence Pike (lo ricordiamo nei Triosk) alla batteria, percussioni ed altri piccoli strumenti e Luke Abbott all’elettronica. Il lavoro verte sulla creazione di lunghe atmosfere che affondano le radici nell’insegnamento di Pharoah Sanders, soprattutto in quelle intro costruite mattone su mattone, aggiungendo suoni in uno schema libero ma curandosi bene di tenere insieme una melodia definita ed emozionante. Vi è poi una sorta di visione che punta al cosmo, e in questo più vicina al credo di Sun Ra, rafforzata e mandata in orbita dalle sonorità elettroniche che si manifestano sotto forma di pad, tastiere sbilenche in distorsione, click e altre diavolerie prodotte dai synth di Abbott.
Un disco denso che non molla mai la presa, una morsa che cattura ed induce all’evasione con una forza profonda e totalmente assorbente.

EXPERIMENTAL

ZAVOLOKA, Promeni (Kvitnu)

Promeni

Seguo la Kvitnu da diversi anni, una delle realtà in ambito sperimentale più vivaci e creative, a partire naturalmente dalla musica fino ad arrivare ai curatissimi packaging e artwork di ogni singola uscita, dettagli curati proprio da Zavoloka, nome di battesimo Kateryna Zavoloka, producer e graphic designer che si prodiga al massimo per portare avanti questo progetto che ci ha regalato grandi dischi nei quali immergersi completamente. Questo Promeni chiude un lavoro in quattro parti dedicato agli elementi naturali, una serie iniziata oltre dieci anni fa. È molto più scorrevole rispetto al passato, più comunicativo, meno arcigno, pur conservando un’attitudine alla selezione dei suoni piuttosto ferrea. Qui il ritmo sembra cercare una certa regolarità che muove verso territori techno, mentre intorno l’artista è bravissima a costruire atmosfere cupe che emanano sentore di futuro in ogni dove. C’è alternanza nelle atmosfere, in alcuni casi fredde, elettriche, desolate, in altri più calde e avvolgenti come nel caso del bellissimo “Flame From Within”. È un album da valutare nel suo complesso, vivendo intensamente tutti gli scenari evocati dalla sua musica, un flusso ambient rafforzato dalla sperimentazione sulla melodia e sul ritmo che mette in equilibrio gli elementi citati in maniera semplice e coesa, creando brani fruibili e trascinanti.

TECHNO / HOUSE

SHINICHI ATOBE, Heat (DDS)

SHINICHI ATOBE, Heat

Quello che è stato un fitto mistero per oltre un ventennio, l’irraggiungibile sul quale ardite ipotesi hanno chiamato in causa questo o quel produttore nel corso degli anni. Tutto per un ep pubblicato nel 2001 dalla Chain Reaction che conteneva un brano house pulsante, ipnotico, bellissimo. Riscoperto da quei due furbacchioni dei Demdike Stare e blindato sulla loro DDS, sta tornando a un’attività produttiva regolare (o sta semplicemente riversando tutti i DAT dell’epoca), fatto sta che a partire da Butterfly Effects ha rilasciato ottima musica sempre in bilico tra techno e house, mantenendo intatto quel feeling dub ipnotico ed ovattato. Questo è il suo quarto album in altrettanti anni, un disco in cui la formula sostanzialmente non cambia ma continua ad ammaliare con idee sempre convincenti. Forse il più minimale dei suoi lavori, il più geometrico, al limite della perfezione, come illustrato ampiamente negli oltre otto minuti di “Heat 4”, imperniato su una programmazione ritmica scarna e ripetitiva sul quale un kick in controbattuta e un pad creano un’atmosfera spettrale di altissima caratura. “Heat 1” è invece un omaggio, il suo omaggio, all’house di Chicago più ritmica e diretta, una costruzione del groove sempre scheletrica sulla quale girano due livelli di note massicce ed efficaci. In chiusura prova a replicare il mood di Butterfly Effects con un brano che prende il nome di “So Good, So Right 2”, e sono di nuovo otto minuti di ipnosi su un groove rarefatto e sognante. Ingranaggi meccanici per una danza cerebrale.

TECHNO

ANCIENT METHODS, The Jericho Records (Ancient Methods)

The Jericho Records

Il progetto Ancient Methods si è sviluppato in origine attorno al lavoro di Conrad Protzmann & Michael Wollenhaupt, che insieme hanno definito le coordinate di uno stile techno fortemente influenzato dall’industrial e dalle vie più oscure del suono tribale. Una serie di ep a partire dal 2007 hanno consolidato l’interesse intorno al nome, rimasto sempre in una sorta di semiombra nella quale riuscire ad amministrarsi in totale libertà. Molto intensa anche l’attività djistica, che ricordiamo in maniera particolare per un grandioso mix realizzato nel 2010 per il blog mnml ssgs, nel quale confezionavano un rude assemblaggio di groove graffianti e organici che faceva saltare in aria ogni cosa. Oggi Ancient Methods risponde al solo nome di Michael Wollenhaupt, che debutta alla prova album con un sontuoso triplo vinile autoprodotto.
Una scaletta di quattordici pezzi esplode letteralmente dopo un’intro cavernosa che preannuncia il peggio. Il resto è violenza pura, una serie di costruzioni da manuale del groove che fondono in maniera eccellente il funk con la materia più industriale ed elettronica, spolverando il tutto con brusii, distorsioni e rumore nudo e crudo. Quel che a un primo ascolto potrebbe sembrare un esercizio di stile, rivela invece un disegno articolato e gestito ottimamente sia dal punto di vista ritmico che sonoro. In alcuni intermezzi vengono accentuate sonorità etniche di matrice africana, che a ben vedere caratterizzano gran parte dei brani e fanno assumere questi Jericho Records un’appartenenza afro-futurista molto marcata. È poi devastante quando spinge sui bassi mantenendo quella tensione propria della techno che emana vibrazioni costanti. Diversi i featuring, partendo da quello di Regis che dà vita ad un brano che ricorda Flash di Green Velvet, per passare poi a quello ambient di Orphx, quello più minimale-rituale di King Dude, poi ancora ambient con Cindytalk e la trance-ipnotica con Prurient, episodio fantastico che riporta alla mente un vecchio pezzo di Non Eric. Ancient Methods messo a nudo.

AMBIENT / IDM

GALAKTLAN, En Garde (SekSound)

En Garde

Quarto album per Taavi Laatsit, in arte Galaktlan, schivo produttore – perso nel suo mondo sonoro – che ci aveva stupiti qualche anno fa con il bellissimo Constance, ancora oggi un ascolto molto valido da recuperare. Torna con una nuova avventura ambient molto ariosa e piena di grandi suonate di piano elettrico abilmente unite a partiture ritmiche spezzate e a una ricerca molto coesa sulle sonorità di rifinitura. Pur avendo un comune denominatore sulle atmosfere create, il disco presenta una grande varietà di suoni che mostrano tutto un campionario di tonalità metalliche unito ad alcuni sample come campanacci, legni sbattuti, vento e altro ancora. Le melodie sembrano evocare alcune aperture di grandi maestri come Brian Eno o Harold Budd in un contesto ritmico più accentuato ma controllato a meraviglia grazie a degli arrangiamenti di gran pregio che riescono a far coesistere le varie partiture in maniera armonica, lasciando trasparire comunque una complessità compositiva che è il vero “tratto identitario” di un produttore che meriterebbe molta più attenzione.

SINGOLI

TECHNO – DEEP HOUSE

SANDERSON DEAR, Dancing With Fireflies (12″ Remixes) (Stasis Recordings)

Dancing With Fireflies

Produttore interessantissimo questo Sanderson Dear, da Toronto, Canada. È fondatore della Stasis Recordings, che per anni ha pubblicato solo musica in formato digitale sondando in lungo e in largo l’universo techno e le sue declinazioni dub, ambient e anche house. Negli ultimi due anni ha iniziato invece a stampare musica sia su cd che su vinile, occupandosi anche di interessanti lavori altrui, come ad esempio gli album Propagation Of Light di Aural Imbalance o Spiral di Diahgonal. Quest’ep contiene tre estratti dal suo ultimo album Urban Mosaic, uscito solo in cd nel 2016, ed è affidato ai remix di Louis Haiman, Minimal States e Off Land. Inizia proprio Haiman: l’asso americano prende in custodia Dancing With Fireflies (che già di suo era sulla strada di certa Detroit techno più mentale) e ne amplifica la sua aura soul incastonando una serie di percussioni e una stringa melodica al solito struggente. Minimal State rielabora lo stesso pezzo in una forma cervellotica che unisce ritmi techno spezzati a un parco suoni più freddo ed elettronico, in entrambi i casi due grandi remix. Off Land invece crea un ambient molto aperto e solare dove convivono ritmiche ipnotiche, un piano elettrico e dei pad vibranti che stravolgono “Just Beyond”, posto in apertura dell’album di Sanderson. Recuperate tutto.

EXPERIMENTAL – TECHNO

AIR LIQUIDE, This Is A Mind Trip (Intergalactic Research Institute For Sound)

Con Cem Oral e Ingmar Koch eravamo rimasti fermi al 2004, anche se è un passato più lontano a tramandarci la storia di uno degli act elettronici più importanti di sempre. Artisti che hanno contribuito in prima linea a ridefinire il suono techno, ambient e acid con valanghe di album ed ep totalmente liberi ed ispirati. Singolare anche la scelta del nome, che fa l’occhiolino a quella This Is Not A Mind Trip contenuta nel live alla Love Parade del 1994, un brano techno-trance muscolare che recitava per l’appunto “This is not a mind trip, this is a body journey”. È invece ai meandri della mente che è destinata questa release che apre appunto con la title-track, un brano lisergico dove un flusso dai toni elettrici serpeggia tra modulazioni distorte, un suono alienante dove a intervalli regolari vengono lanciati bassi sporchi, rumoristica varia e un vocale sussurrato che inverte appunto la lontana dichiarazione del ‘94: “This is a mind trip, not a body journey…”. “Die Singende Saede” entra in un mondo che ci hanno fatto conoscere già molto bene, quello dell’ambient-dub. Con intelligenza mettono insieme un treno che continua su quelle coordinate sporche e viscerali che scattano la precisa fotografia di uno scenario post-industriale illuminato da fiochi bagliori.
“Zeitgeber3” esce prepotente con un affondo techno-acid dai toni industriali e dal groove trascinante. Un ritorno verace, sincero, scene già viste che aggiornano e rinverdiscono i fasti di una formazione che vorremmo tornasse sempre più presente.

HOUSE / AMBIENT

MARCO MOREGGIA, Journey (Mystic Records)

Lo storico negozio di dischi romano Re-Mix capitanato da Sandro Nasonte torna in attività con uno store online dove vende un vastissimo archivio recuperato dal vecchio negozio fisico, una serie di novità selezionate, ma soprattutto le ristampe ufficiali in vinile dei dischi delle storiche etichette locali che gestiva durante gli anni ‘90 e ’00: Sounds Never Seen, la Sysmo, la Nature, Plasmek, elettronicaromana, synthetic, Mystic e altre ancora. Ed è proprio sulla Mystic Records che il rilancio avviene con un ep di nuova pubblicazione dal titolo Journey, messo insieme dallo storico dj Marco Moreggia e composto da tre pezzi nominati in ordine progressivo. “Journey 1”, in apertura, è un brano house che viaggia a bpm molto bassi avvicinandosi ad atmosfere dal sapore cosmico tanto a livello ritmico quando sonoro: un lungo pad imperversa tutta la stesura creandone una melodia soffice sulla quale un vocal femminile molto sensuale sussurra il suo cantato.
“Journey 2” vede la collaborazione del trombettista Fabrizio Bosso (con il quale Moreggia avera prodotto un album nel 2014 per la Verve Records), che mette un tocco dorato su un morbido arpeggio che si diffonde nell’aria tra rullate delicate, charleston e un synth che si inasprisce man mano.
In “Journey 3” veniamo introdotti al cosmic sound puro, a dispetto dell’impianto ritmico più marcato le melodie cercano quell’ideale di viaggio nel cosmo che ricorda alcune composizioni del norvegese Lindstrom. La storia torna a far capolino.

ELECTRO / TECHNO

LUIS MALON, Sisters Of The Night (SLOW LIFE)

Sempre affascinanti i dischi della SLOW LIFE, label di stanza a Berlino che ci sta regalando musica di assoluta qualità in un range sonoro che va dalla techno all’ambient, dall’electro all’house districandosi tra album ed ep con grande naturalezza. Non fa eccezione questo nuovo lavoro targato Luis Malon, giovane produttore alla seconda uscita discografica che propone un ottimo mix di indefinite vibrazioni tra electro, techno ed anche house. Si apre con un collage sonoro che abbraccia il campionamento e propone beat hip hop in un crescendo mutevole che sfocia sul finale in una techno grassa e funk. Era “Hidden Future”. Sempre sul primo lato il brano che dà il titolo al lavoro, una massa ritmica scomposta su cenere dub fa da apripista a un groove scomposto che mantiene quel sapore East Coast potentissimo. B-side in electro mattanza con vocals, batteria e basso a comporre un molosso electrofunk che ricorda i dischi della Citinite. “Nati Nile” aggiusta il tiro su un ibrido techno/house con una bassa acidissima che apre poi ad un groove più solare ed atmosferico molto elegante e funzionale. “Dos Auras” chiude con un mantra house abbagliato da impulsi dub, raddoppi di piano e ripartenze da pelle d’oca. Un disco pronto a soddisfare esigenze molto diverse tra loro.

ELECTRO / ACID

PEARL RIVER SOUND, Train With No Name (Mixed Up)

Train With No Name

In questo periodo di massima rivalutazione del suono techno inglese dei primi ‘90 sono molti gli artisti ad essersi cimentati in dischi che hanno ripreso un certo discorso più legato alla stratificazione e a stesure piene di suoni ed elementi molto più sfrontati che in passato. Il romano d’adozione Pearl River Sound ha sempre prodotto dischi in continuo flirt con l’estetica acid, spaziando da stesure più ortodosse ad altre meno, come in questa occasione nella quale va a capitanare il lancio su vinile della Mixed Up Records, label finora dedita alla produzione di musicassette. Nei sei brani che compongono l’ep viene offerto un ventaglio di soluzioni acid applicate all’electro e alla techno con quel modus operandi compositivo molto più libero e felice di osare. Via le gabbie e giù di sfuriate di bassline, ritmi sincopati, raddoppi percussivi, tastiere a definire traiettorie sbilenche. È vero, l’accostamento con warpismi vari è sempre dietro l’angolo, ma in fondo veniamo da lì e queste strutture non ci annoiano mai. Per di più, qui la materia è trattata con assoluta maestria ed originalità: riferimenti sì, ma grande creatività pronta a farci compiere l’ennesimo viaggio nel futuro.

HOUSE / ACID

AA.VV., Press By The Group (The Press Group)

Press By The Group

Label e produttori a me sconosciuti, cose nuove, ben vengano se mettono insieme ep così vari e potenti. Quattro brani per altrettante sfaccettature del suono dance. Ad iniziare da “Aemilia” di Youthman, evoluzione house che parte da un’intro ambient per sfociare in una bassline acida che accompagna un ritmo spezzato, oscuro, notturno. Ten Letu affonda sulle frequenze basse in una sorta dubstep pressurizzata con una batteria ritmica essenziale a scandire il tempo. Rupert Marnie vola house con una cassa rotonda a supportare rumori di ingranaggi prima che il groove si incendi in un multiforme apparato ritmico grezzo ed efficace. Dj Dodo, col suo brano “The Machine” mette a segno un grande groove house in zona Omar-S con un micidiale innesto fumoso verso la metà, preambolo ad una ripartenza che traina tutto fino alla fine.

HOUSE

S.A.M., Prolific Trilogy 009.1 (Delaphine)

Prolific Trilogy 009.1 (Delaphine)

Samuel André Madsen torna a far girare il groove sulla sua Delaphine inaugurando quella che sembra esser una trilogia che parte con due grandissimi brani house dove lui costruisce altrettanti groove incandescenti. Lato A per “Philokalia” con un synth deep rotolante che con le sue distorsioni crea la melodia portante di un brano semplice quanto dannatamente efficace. B-side per “Mum’s The Word”: qui tutto è giocato su di un sample vocale a intermittenza e una tastiera fioca che riempie il vuoto dei momenti in voice-off. Il tiro è in entrambi gli episodi molto ben calibrato, con una ritmica mai esasperata e dai toni caldi ed avvolgenti. Da giocare in centro serata in club più addicted, altrimenti è zona after.

ACID / HOUSE / TECHNO

ACID 909, Ep #1 (Acid909-1)

ACID 909, Ep #1

Progetto totalmente anonimo questo Acid 909, che debutta con un ep di due brani senza troppi fronzoli o misteri di contorno: entrambi sono funzionali al dancefloor pur mantenendo un feeling d’ascolto che non guasta mai. Pochi elementi messi in gioco tra cui la bassline, la batteria 909 e un synth con il quale buttare giù melodie e pad. Lato A in fuga ipnotica con una nota di organo stirata all’infinito sulla quale bassline e 909 si contorcono dando vita ad un pezzo armonico e celestiale. Lato B in connubio house/techno perfetto, con break ritmici, atmosfere da soundtrack notturna e orrorifica e 303 ad accendere di acido il tutto. Speriamo in una lunga serie.

RIPESCAGGI

HOUSE

PÉPÉ BRADOCK & THE GRAND BRÛLÉ’S CHOIR, Burning (Kif Recordings, 1999)

PÉPÉ BRADOCK & THE GRAND BRÛLÉ'S CHOIR, Burning

A ridosso del tanto temuto millennium bug Julien Auger, produttore importantissimo per la scena house francese e meglio conosciuto come Pépé Bradock, aggancia il groove perfetto e lo restituisce intatto nel suo splendore nei monumentali undici minuti di Deep Burnt, b-side dell’ep Burning.
Campionamenti da Little Sunflower di Freddie Hubbard e una costruzione del brano che evolve costantemente tra squarci di tromba lavorati, organo, basso, voci e inserti di chitarra elettrica. Un pezzo mai fermo che con il suo groove circolare che accenna declinazioni acidule ogni qual volta entra in scena l’arpeggio. La dinamica aumenta d’impatto con delle pause ad effetto ben studiate che ripartono ogni volta aggiungendo spessore in un clima già di per sé denso e infuocato. Ascoltato su un impianto di qualità ti faceva uscire di testa.