KAMMARHEIT, The Nest

Kammarheit

Dopo dieci anni di silenzio, torna Pär Boström, di nuovo su Cyclic Law. Ortodossia dark ambient svedese: scavo nel profondo, sacralità, malinconia. In pratica è come se lo avessero ibernato e lui – del tutto ignaro della cosa – avesse ripreso il discorso là dove l’aveva interrotto, tra l’altro in un momento in cui già pareva esser stato detto tutto sul genere. The Nest, comunque, è la dimostrazione di come un disco solido, per quanto prevedibile, possa catturare molto più di uno innovativo o di tendenza. Sono correnti sotterranee, lentissime ma potenti, a costituire – come sempre – l’ossatura dell’album e il suo modo di investire il nostro corpo, ferendo la mente con frequenze più alte mentre scendiamo, di continuo (“Hypogaeum”). Il principale merito di Pär Boström è quello di essersi concentrato sulla potenza del suono (quasi puro, sentite la conclusiva “Aeon”) e non su cliché abusati, per quanto poi – come già scritto, sostanzialmente – l’album sia incasellabile sentendo trenta secondi a caso di qualsiasi pezzo. Dategli una chance.