VANESSA VAN BASTEN, Morgan Bellini

VANESSA VAN BASTEN

Esce oggi – per Solar Ipse – Ruins dei Vanessa Van Basten. Sul gruppo ho detto la mia in sede di recensione, qui lascio parlare Morgan. Sono molto contento di aver chiuso un cerchio assieme a lui, perché Vanessa Van Basten è un gruppo al quale sono attaccato.

Ruins inizia subito bene, ci sono quattro-cinque pezzi di fila che ti tirano subito dentro il disco, quindi di cose da dire ne avevi e ne hai. Come dobbiamo vedere questa raccolta? Una tappa, un addio, un addio con un “non si sa mai” in coda…

Morgan Bellini: Ti ringrazio molto, mi fa piacere sapere che c’è sempre qualcuno che apprezza il nostro lavoro. Trattandosi di materiale “d’archivio” ho dato moltissima importanza alla scaletta, volevo evitare quell’effetto un po’ noioso o ‘filologico’ che certi dischi di questo tipo fanno, specialmente se i pezzi non sono tutti all’altezza. Ruins non era in programma fino a pochissimo tempo fa; solo la scorsa estate ho iniziato a riascoltare e ripulire sistematicamente tutto il materiale inedito dal 2005 a oggi. Mi sono emozionato moltissimo nel riscoprire certe chicche nascoste. In realtà volevo fare un po’ d’ordine e mandare via mail tutto quanto al resto della band (circa 5 ore totali di musica!), per dare anche a Stefano e Roby la possibilità di riemozionarsi come me. Quindi con un pizzico di presunzione e grazie anche alla chiara disponibilità di Solar Ipse al mio primo cenno, ho iniziato a immaginare questo set di canzoni. È incredibile che dopo pochissimi mesi si sia già materializzato un vero e proprio album. Si tratta dell’addio con questo monicker (escludendo un ep, anch’esso un po’ particolare, che uscirà a breve), ma “mai dire mai”; non voglio sembrare paraculo, è che veramente nella vita “non si sa mai”!

Infatti, a proposito di bei ricordi, un po’ mi hai “comprato” subito mettendo “Godfather” per prima. Ha un suono molto “Swedenborg”, cioè quello di un album al quale sono attaccato, musicalmente e perché mi ha fatto stringere di più i rapporti con altri musicisti che stimo, ad esempio Andrea Penso / Selaxon Lutberg / Cold Current (oggi Black Moss). A distanza di otto anni, come lo vedi quando lo riascolti (se lo riascolti)? Uscì per quattro etichette italiane, è sopravvissuta solo l’immortale Eibon.

Sono già passati otto anni? La Stanza Di Swedenborg è molto speciale per me, è stato il mio primo vero disco pubblicato e ricordo ancora l’emozione di quando aprii lo scatolone mandatomi da Mauro Berchi (aggiungo che non sono sorpreso della sopravvivenza della sua label, ha fatto uscire dischi paurosi, vedi Colloquio). L’ho sentito e risentito fino alla nausea e in ogni condizione psicofisica. Che dire… i Vanessa sono stati spesso criticati perchè poco “live band” e molto poco tecnici, sia nelle registrazioni, sia nell’esecuzione. Vero. Però io sono orgoglioso della Stanza e di non essermi mai preoccupato troppo della “pacca” o di assomigliare a questi o a quelli. Io cerco maggiormente l’atmosfera, come quella di “Giornada De Oro” o “Floaters”.

Non saprei esprimermi sulle pecche esecutive, non essendo granché portato per la tecnica (ne ho parlato nella recensione del vostro split coi Morkobot) e forse capisco che qualcuno si possa esser chiesto come sarebbero stati certi dischi con una diversa registrazione. D’altro canto si sono lette cose molto positive su di te e soci, vi hanno ristampato su vinile l’ep d’esordio, e tutto questo senza che vi siate fatti/vi abbiano fatto mai davvero seriamente pubblicità o che siate stati presenti assiduamente con dischi, ep, anticipazioni, post sui social network, cazzi vari o ancora live come succede oggi. La domanda è: perché i Nadja vanno ovunque e voi no? A me i Nadja piacciono un botto, tra l’altro.

È solo una questione di scelte, che possono anche essere sbagliate, non tanto di talento. Infatti di solito i peggiori suonano molto in giro, a fianco di quelli bravi. Non che lo status di “cult” non sia affascinante… io adoro le band dimenticate… ma negli anni giusti noi abbiamo scelto la tranquilla stabilità dei nostri lavori quotidiani anzichè investire su noi stessi e sulla musica. Che idiozia! Ci siamo comportati da vecchi, o come avrebbero fatto quegli ignavi dei nostri genitori. Adesso i risultati si vedono, siamo a 1000 euro o in cassa integrazione con la schiena rotta e più depressi di prima. Aidan & Co. vengono da un’altra cultura, con tutti i suoi difetti, ma non quello di non mettersi in gioco. Comunque, per dirla come prima, “mai dire mai”. Non rifarei lo stesso errore… ne ho passate troppe nel frattempo. E nell’era di internet non si è mai vecchi veramente: oggi si può essere manager di se stessi, e di treni ne passano se si è capaci di scorgerli.

Sul live e sul mettersi in gioco ho un’idea simile alla tua. Fortunatamente, non avendo alcun talento artistico, non ho mai dovuto affrontare la cosa. Vorrei anche aprire un discorso sulle band dimenticate, ma deraglieremmo. Te ne linko una che potrebbe piacerti, mi sembra una forma di cortesia. Pensa che i Nadja hanno pubblicato le cover di “One Hundred Years” e “Faith”. Nei dischi di Vanessa Van Basten è emersa sempre più l’influenza Cure, fino a “All Cats Are Graves” su questo Ruins e a un ep molto particolare. Parliamone, mi sembra importante.

Power Of Jism, belli contundenti. Mi sembra Cop misto a Scum, ma ci sento anche un casino di Skinny Puppy, è un minestrone da avere! Sui Cure il discorso è molto diverso, ci sono l’arte del songwriting, il ritmo, la melodia… la mia rivisitazione di quattro brani di Disintegration è molto fedele e filologica rispetto a quanto ricordo di aver sentito dai Nadja. Volevo proporre un Disintegration, i Vanessa vanno in secondo piano. Quel disco è talmente grande che per me cambiarne i connotati sarebbe stato irrispettoso. Mi sono messo ad analizzarlo, con carta e penna, e mi sono fatto aiutare da amici illustri alla batteria e alla voce. Mia madre adora la mia versione di “Plainsong”. Le ho detto “è più comodo sentire quella originale, c’è meno rumore superfluo, non ci sei abituata”, lei ha risposto “no, preferisco la tua giusto perchè sei mio figlio”. Missione compiuta. Esce presto in vinile su Taxi Driver.

VANESSA VAN BASTEN

Direi che quest’influenza, assieme ad altre (i tuoi Godmachine) rendeva particolare all’epoca il sound di Vanessa Van Basten. Da lì anche il paragone con Jesu. Un mix di generi che poi nel 2014 ha portato al paradosso di band puramente shoegaze su Relapse. Il tuo eclettismo si vede anche in questa raccolta, e molto chiaramente. Ma la formula magica, anni fa, saltò fuori per tentativi, suonando, suonando e suonando, o fu un’intuizione in un particolare momento?

Quando registrai il demo nel 2005, ne venivo da anni di dj set e pochissima musica suonata. Ascoltavo tanta musica di generi diversi, e spesso quella un po’ becera, che “funzionava” anche in pista o in compagnia di amici. Niente post-rock o shoegazing… alla fine mi sento proprio di dire che la più grande influenza è stato il suono della mia chitarra cinese dentro uno Zoom da pochi euro! Ore di sedute di autoipnosi chitarristica che ogni tanto sfociavano in vere composizioni. In un secondo momento ho realizzato che tanti altri nel mondo stavano facendo cose simili (soprattutto Jesu), e ciò mi ha dato la spinta a tentare con qualche label. Forse fare lunghi pezzi strumentali è stato solo una reazione necessaria a tutti quei festini a base di Blondie e New Order che mi sparavo nei locali… non userei il termine “formula”. Anche se ora ricambio la tua seconda cortesia proprio con un pezzone New Romantic che spero non conosci e che mi piace ancora tanto: è un maxi, il pezzo vero parte a 2:30.

Non lo conoscevo, per colpa tua adesso ri-entrerò in quel tunnel chiamato YouTube. Sempre rimanendo negli anni Ottanta, devo dirti che non mi sarei aspettato la cover dei Dead Can Dance, per restare ancora un po’ su Ruins. Non mi sembri uno che ragiona per decenni in musica, rimane il fatto che negli anni Ottanta in un modo o nell’altro ci passi del tempo…

Eh, gli anni Ottanta (ma anche Novanta) li ho approfonditi parecchio, anche per una serie di parenti che avevo intorno. Mi piacciono molto i Dead Can Dance, soprattutto quelli vecchi. La cover l’abbiamo registrata nelle sessioni per lo split con i belgi uscito quest’estate. Essendo stato poi reimpostato come un concept, abbiamo dovuto omettere la cover, e probabilmente è stato meglio così. La voce è stata per ovvi motivi una bella sfida… però al di là del risultato mi sono divertito un casino. E poi “Advent” uccide la pesantezza del disco, è come la sigla finale di Ruins, è separata dal resto ma “lava” le orecchie.

A furia di parlar esclusivamente di musica, non vorrei fare un torto al tuo ex bandmate austriaco, dimenticandomi dell’artwork di questa raccolta, che mi piace molto e merita due parole d’elogio. Anche quello dello split coi Morkobot, però, è pazzesco. A stare su un disco con loro non ti sentivi davvero Bob (Twin Peaks) contro Robocop? Secondo me quel disegnatore ha capito più di qualcosina…

I personaggi sono stati scelti dalle band e in effetti sono piuttosto incompatibili, come anche i rispettivi brani e stili. È stato divertente per questo. Lo scontro tra linguaggi diversi si sente molto alla fine del disco, quando le voci campionate dei due personaggi intraprendono uno strano dialogo ma sostanzialmente non raggiungono il loro interlocutore. È stato difficile trovare il “testimonial” per i Vanessa, invece penso che per Marcello & Co. le cose siano state più semplici, l’assonanza è sempre presente anche nei titoli dei loro album. Ho scelto Bob perché ha qualcosa di incatalogabile e fa paura, o per lo meno la faceva a me da bambino. Per Ruins, invece, volevo fortemente qualcosa di astratto, un collage che rappresentasse questa scaletta molto eterogenea, così ho chiesto a Marian Waibl che si era già occupato egregiamente di tutte le grafiche del nostro progetto di Vienna. Tra l’altro lo stile è molto “digitale”, proprio come la provenienza di gran parte del materiale di Ruins (ci sono addirittura passaggi acustici registrati con un lettore mp3, e l’audio del frammento dal vivo viene da una fotocamera digitale).

Adesso che so che lo avete scelto voi, mi tornano di più i conti. Del resto, se puoi, Lynch lo tiri in ballo, nei dischi, nelle interviste, negli artwork. È un modo di rendergli omaggio o c’è qualcosa del suo mondo che ti ha dato delle idee per la musica? Noi, tanto per dirne una, abbiamo scritto un pezzo su come la colonna sonora di “Eraserhead” (di cui si occupò proprio lui, insieme a Splet) sia stata influente per chi è venuto dopo…

I suoi film sono musica. Ogni volta che esce qualcosa di nuovo è come andare a un concerto. Ti dirò di più: mi piacciono anche i suoi dischi e (per quanto possa capirne) i suoi quadri. Quel surrealismo terrorizzante di molte scene ha molto in comune con un The Drift o Filth, tanto per citare dischi che ritengo essere ancora oggi l’avanguardia della musica oscura. E’ enorme la sua influenza sul mio modo di comporre, se non avessi mai visto certi film (specialmente “Fuoco cammina con me” e “Inland Empire”) avrei un’altra visione dell’arte e probabilmente farei hard/stoner. Considera elementi come: forti contrasti e cambi di atmosfera; presenze disturbanti che si insinuano; qualcosa di cupo che incombe e sta per arrivare; il classico pizzico di ironia; tutto questo è concretizzabile anche in musica. I film si possono ascoltare e la musica che si riesce a visualizzare è ottima. “Eraserhead”… ricordo di aver assistito ad una sua proiezione e a qualche posto di distanza c’era una ragazza grottesca che faceva risatine costanti (fu sgridata più volte da diversi spettatori). Ma io non credo che fosse semplicemente un’idiota, sono ancora convinto che fosse in qualche modo sconvolta dalla visione. O incinta… quel film dovrebbe essere adottato dal VHEMT, è un ottimo anticoncezionale naturale femminile.

Sì, io non so come sia possibile fare un film che metta più terrore della paternità/maternità. Che cosa, quali caratteristiche ti porterai dietro di Vanessa nei tuoi prossimi progetti e quali sfighe invece spererai che non si ripetano?

Non credo tanto nella sfiga, anzi mi ritengo molto fortunato di quanto ho potuto raccogliere grazie ai Vanessa. Si poteva fare molto di più, ma è stata soprattutto una nostra/mia scelta. Ogni tanto ricevo mail di gente lontana, tipo Turchia o Giappone, mi scrivono quasi commossi, non mi parlano di questa o di quella scena, o di quanto siamo bravi ad assomigliare agli Isis, o di come ci starebbe bene Mike Patton. Mi parlano di come ho completato la loro vita in un dato momento, o della speranza che riesco a infondergli con quella melodia. Cazzo, queste sono soddisfazioni. Credo proprio che andrò avanti per tutta la vita, oltretutto creare ha un effetto terapeutico per la mia persona. Riguardo nuovi o prossimi progetti, sto imbastendo una band per sfogare i nervi qui a Trieste (siamo fermi in cerca di un cantante), ma soprattutto ho in mente un solo project fattibile dal vivo e trasportabile con una sola automobile. Victoria Van Basten?