UNISON THEORY, Arctos

Il metal core non è un genere che tollero molto. Anzi, non mi piace affatto. Questo lo scrivo perché poi non voglio sentire lamentele su cosa dirò di questo debutto dei romani Unison Theory. Il quartetto suona infatti metal core, anche se nella bio si parla di death metal con ombre di thrash, il tutto in chiave sinfonica… ma sembra una supercazzola! No dai, ridivento serio. Otto pezzi suonati con perizia, questo glielo riconosco. Groove malati, voce schizofrenica e una sezione ritmica davvero incisiva. Il tutto è registrato in maniera impeccabile. Mi ricordano i Black Dahlia Murder, dai quali riprendono le soluzioni melodiche, le tonalità di chitarra e in generale l’atmosfera. Sono davvero molto tecnici: vi perderete nel contare i riff, i cambi di tempo e i filler. Purtroppo, però, non ci vedo nulla di interessante, solo un mero esercizio di stile: non c’è calore umano, l’album è freddo e filtrato al computer, basta ascoltare la batteria, che sembra a tutti gli effetti una drum machine, perché triggerata fino alla disperazione. Anche le chitarre sono troppo robotiche, assemblate con qualche programma oggi tanto in voga per risparmiare tempo e denaro. Aggiungo qualche info: gli Unison Theory ospitano Rafael Trujillo degli Obscura e Tommaso Riccardi dei Fleshgod Apocalypse, gruppi molto popolari nel circuito.

L’album è un concept che ruota attorno all’opera “Ice Hunt” di James Rollins. In conclusione forse io non ero la persona più adatta a scrivere questa recensione, comunque credo che, nel caso siate fan del genere da loro proposto, vi piaceranno senza se e senza ma.