Trapper Keaper Meets Tim Berne & Aurora Nealand

Trapper Keaper Meets Tim Berne & Aurora Nealand

Boom: una voce di uccello o da rituale ancestrale ad ergersi su un orgiastico jazz rock; così si apre il sipario su questo convincente lavoro del batterista veneto Marcello Benetti, trasferito a New Orleans, dove ha incontrato la cantante e polistrumentista (sax alto, fisarmonica) Aurora Nealand. Orologi ribelli e molli come in un quadro di Dalì, metronomi e bussole rotte, uno spazio senza gravità, dove galleggia il sax affilato e immediatamente riconoscibile di Tim Berne: questa la title-track, una selva elettroacustica dove anarchia, geometria, psicologia e filosofia si incontrano e si azzuffano, sbucciandosi le ginocchia: centro pienissimo. Calibrato e puntuale il lavoro alle tastiere e all’elettronica dell’altro statunitense, William Thompson IV. Il mood è febbrile, urgente, anche quando attraversiamo territori di quiete rarefatta (“Unidentified Flying Objection”, gran titolo) dove a un certo punto irrompono figure inaspettate a increspare le onde. Languori obliqui e metafisici da terra di mezzo (“Passage”) come prepararsi ad un incontro con divinità altere, con la fisarmonica a stranire il clima (siamo dalle parti di certi numeri del catalogo Cuneiform Records).
“Lines Of Electrical Wire” è un haiku enigmatico, astratto: pochi(ssimi) elementi, un clima sparso, da fine della musica, della Storia, come osservare le rovine di una tradizione dall’alto di una rupe scampata non si sa come né perché alla frana che ha lasciato solo detriti. E infatti, “Flame Among Ashes”, una fiamma tra le ceneri, la voce di una specie di resurrezione sottovoce; ombre, profili in fuga (le nuvole corrusche di “Warm Beetween”), un groove sbilenco e inesorabile che sgorga da una vena inesausta e sottile. Non tutto suona a fuoco (“Leaky Faucet”), ma l’elettronica afrofuturistica, sulla scia di un Sun Ra rivisitato secondo l’ottica di Rob Mazurek, di “Pins And Needles” convince in pieno. Questo viaggio galattico e onirico si chiude con un ritorno a casa, tra brume iperreali e metaforiche, con “Amarcord (Fellini Memories)”: un fischio, la domenica mattina, la ruota di una bicicletta che cigola, l’aria di paese, l’argine del fiume, il cosmo racchiuso in una pozzanghera.