TILT (uno dei tanti epiloghi)

La mia è una visione apocalittica. Ma se accanto ad essa e all’angoscia che la produce, non vi fosse in me anche un elemento di ottimismo, il pensiero cioè che esiste la possibilità di lottare contro tutto questo, semplicemente non sarei qui,tra voi, a parlare (Pier Paolo Pasolini)

Non ho il tempo di tradurre ciò che comprendo nella forma di una conversazione. Ho esaurito la maggior parte delle conversazioni entro i nove anni. Riesco a sentire solo attraverso grugniti, grida e intonazioni di voce, oltre che con i gesti delle mani e del corpo. Sono sordo di spirito (Kurt Cobain)

Do I hear 21,21,21. I’ll give you 21,21,21. Do I hear 21,21,21. I’ll give you 21,21,21. Sogni che sfumano nelle nebbie del mito, archi come fotografie e bugie del Novecento, la voce di un profeta nel buio che ci racconta una privatissima mitologia che diventa apocalisse e gloria, la disfatta, la deriva. Perché in questi tempi sempre più vacui e assordanti è necessario fare silenzio e raccogliere le poche forze che restano per scendere nell’Ade o trascendere in alto: immaginare altrove possibili, sentire tutte le ferite della Storia, la tosse dei secoli, la polvere, la memoria. Ascoltare Tilt, il disco con cui Scott Walker tornò sulle scene nel 1995 a undici anni di distanza da Climate Of Hunter, equivale ad una viaggio dantesco. Il fascino disadorno della fine che vincerà tutte le nostre ragioni, tutto il silenzio che serve per prepararsi ad attraversare lo Stige: questa voce indefinibile, così lirica e cruda, è il Caronte che ci traghetta in un posto dove il buio è solo l’inizio. Musica che andrebbe ascoltata in una cattedrale bombardata (in effetti, in diversi pezzi vengono utilizzati organi da chiesa), che ti trasporta in luoghi scabrosi e irresistibili. Lampi di grazia a staccare inni al cielo (“Bouncer See Bouncer”) prima che la notte affili le sue armi; una febbre di incanto e preghiera (don’t play that song for me), un mood pagano e austero che rapisce e ti porta in un posto dove sei già stato senza saperlo. Art-rock, avanguardia, classica, pop virato al nero, dark sperimentale? Questo disco straccia anni e anni di critica musicale per posizionarsi in un posto unico e personalissimo, desolato e bellissimo. Suona più vicino alla potenza di una tragedia greca o shakespeariana: un classico istantaneo che anche dopo mille ascolti non finisce di svelare il suo ineffabile, profondissimo mistero. Continua a raccontarci cose che non sappiamo spiegare anche dopo tutto questo tempo. Come solo i grandi capolavori sanno fare. Da poco mi è capitato di vedere uno spettacolo teatrale semplicemente favoloso, “Macbettu”, di Alessandro Serra, dove la tragedia sulla sete di potere viene rivisitata in sardo barbaricino. Se potete, non perdetevelo, un’ora e quaranta di rara potenza. Il clima tra il grottesco e il drammatico, la luce come ipotesi, l’uomo come maschera di sé stesso, la voce come corpo, come caverna, come orma, come ombra: tutte queste cose le ritroviamo anche in questo che più che è un disco è un inventario dell’oscurità. La musica come messa in scena teatrale, nuda: come in “Dogville” di Lars Von Trier. Aprire completamente la forma canzone, farla respirare come una sinfonia, percuoterla come un quarto di bue, non avere alcun timore di blandire la morte, sondare gli abissi, riemergerne dopo aver visto creature che solo certi sguardi riescono a tollerare, e fare della prosa di merda e sangue purissima poesia, infilare i polsi nel fango, toccare le tette alla paura, schioccare un bacio in fronte alla follia. Parlare da una fossa oceanica che è al tempo stesso vetta, cantare la gloria, il disastro, il baratro, l’abisso, la vertigine oscena e bellissima del rock. La mia preghiera oggi è ascoltare a tutto volume in loop “Farmer In The City”, dedicata a Pasolini: do I hear, 21,21,21. I’ll give you 21,21,21. Do I hear 21,21,21. I’ll give you 21,21,21.

Scott Walker aveva 76 anni. Non ho tempo di tradurre ciò che comprendo in forma di conversazione, diceva Kurt, il precipizio della pagina incombe, le energie sono esaurite, il blocco è ad un passo, il guasto è questione di frazioni di attimi, la pallina dell’alfabeto non gira più, la Nera Signora ha scosso con violenza il flipper, sarà solo un caso se mentre finisco queste righe malandate si scatena un temporale? L’inverno mostra ancora la sua coda, game over, tilt.

Il cammino incomincia e il viaggio è già finito (PPP)