SILENT FIRES, Forests

SILENT FIRES, Forests

Libera associazione Oslo-based tra quattro differenti entità creative dalla cui sommazione sortisce un amalgama che, per una volta, lascia nitide ed individualmente apprezzabili le contributive personalità: assortita band aggregatasi nel tempo tra frequentatori della Norges Musikkhøgskole di Oslo, Silent Fires non si dichiara come realtà estemporanea o a perdere entro la costellazione della ormai centrifuga NuMusic scandinava, avocandosi peraltro una ben più ampia connotazione di respiro europeo, come autorizzano la solida strutturazione d’insieme e la suggestiva combinazione delle individualità in gioco.

Di propensione avant-garde ed insieme di nitido disegno, la vocalità di Karoline Wallace funge da fantasmatica presenza e sorta di spirito-guida lungo una successione di stazioni dalle morfologie mutevoli, conformate dalle elettroniche spesso nebulose, a tratti ruggenti della griffe di Hilde Marie Holsen (già apprezzata nella individuale, notevole esperienza Lazuli, uscito per Hubro nel 2018), dalle angolose figurazioni post-romantiche dell’arco di Håkon Aase, partecipante con occasionali interpunzioni percussive, e dalla chiaroscurale palette del pianista Alessandro Sgobbio – peraltro supervisore artistico e autore di tutte le tracce, comunque articolate tra “scrittura, improvvisazione ed estro personale” a detta del medesimo – a suggellare la line-up strumentale di un giovane ensemble scenicamente completato dalla performer di danza Synne Garvik.

Esordendo nelle fluenze incantatorie di “En Astheneìa”, l’ensemble dichiara l’organicità dell’associativo sound e, su questo, l’importante retaggio del recitar cantando nella performance vocale, di calibrata drammaticità nel conferire corpo a passaggi d’alterna tessitura, tra cui la destrutturata “From The Entrance Of Love” o il diafano respiro di “Luce Della Perfezione”  – che per una volta non titola una “opera dell’ingegno” di Battiato ma inscena una credibile stazione di contemplazione laica con non poco spunto spirituale, così come la ieratica “Alla Volta Del Sole” e la concentrata “Love”, atelier di rumorismo manierato, affine nel tema a “The Light Of The Lights”, dall’intro classicheggiante e sviluppo crudo ed anti-tonale, che concorre a tratteggiare la gamma più esplicitamente devoluta a richiamare la spiritualità quale componente tra le più importanti nell’ispirazione del collettivo.

L’ibrido background dei partecipanti non riesce limitativo all’esito a confini aperti dell’architettura sonora, segnata tra agglutinazioni e caleidoscopie dalla tastiera acustica di Sgobbio, dalle linearità sghembe ed incisive dell’arco di Aase, dalle eruzioni solari generate dai synth e dall’ottone di Holsen, tutti in interattiva simbiosi con l’enunciazione nitida e lo spirito attoriale di Wallace, conducendo il fascinoso programma anche attraverso il paesaggismo nordico più iconico e crepuscolare dell’eponima “Silent Fires”, la materia sottile e riverberante di “Banyak”, e le stranianti iterazioni di “Similar Lymphs”, che palesano notevoli analogie con certe progressioni à la Christian Wallumrød ensemble – tra le influenze dichiarate, insieme ad altre eterogenee quanto iconiche ispirazioni in musica ma anche nei testi del cantato, tratti fra l’altro da Yeats o Ortega y Gasset così come dai biblici Salmi e da Vangeli della Chiesa Copta; questi ultimi, ad ulteriore sostegno della citata componente spirituale, appunto fra i tratti fondativi dell’ethos dell’ensemble.

Insomma, complessità di riferimenti e soluzioni per il quartetto (a cinque punte) norreno-italico, che si giova dell’aggiuntivo talento di Stefano Amerio e relativo ArteSuono, le cui sessioni si sono rivelate talmente feconde da ispirare materiale per differenziate proposte live ed ulteriori fissazioni discografiche… cosicché (come per i Minions e John Wick – ma anche no) ne attendiamo con interesse un sequel.