SERENA ALTAVILLA, Morsa

È dallo sguardo che bisogna partire. Basta infatti soffermarsi sullo scatto di copertina, rigorosamente “ruvido” e in bianco e nero, realizzato da uno dei fotografi italiani maggiormente acclamati a livello internazionale, Jacopo Benassi, per capire cosa ha visto Serena Altavilla nel corso degli anni e cosa sta puntando adesso. Innanzitutto, ha visto parte rilevante del miglior rock alternativo in inglese di casa nostra, da frontwoman dei Baby Blue prima e dei Blue Willa poi, titolari nel 2013 di un clamoroso lavoro omonimo prodotto da Carla Bozulich. Successivamente, dei Solki, il cui repertorio ha sempre firmato di suo pugno. Altavilla, però, ha in parallelo iniziato ad affacciarsi da tempo su una forma-canzone meno spigolosa, spesso ad esempio ospite al microfono dei Calibro 35 e ormai in pianta stabile a zigzagare tra le irresistibili eccentricità dei Mariposa.

Il suo sguardo sfodera grinta e vulnerabilità. È lo sguardo – rivolto a seconda dell’umore del momento verso Kim Gordon, Mina o Diamanda Galás – di chi non sa che farsene delle regole, forte del proprio background art punk ma anche dell’amore per la più nobile tradizione melodica e dell’attrazione verso le avanguardie. L’orizzonte oggi è rappresentato da Morsa, pubblicato da Blackcandy, il suo primo album da solista e il suo primo album cantato in lingua italiana, da lei ideato e diretto come una piccola pellicola lynchiana: quanti Cooper ci sono a Twin Peaks e quante Altavilla ci sono in queste tracce? Il video del primo singolo “Epidermide”, ballata apparentemente di velluto dove la violenza è un’estasi, è stato girato dal collettivo John Snellinberg e ce la mostra per l’appunto in due versioni, assieme al suo Doppelgänger.

Giunto come una naturale esigenza comunicativa, il passaggio dal rock alla canzone in italiano, oppure dal sottobosco a una pur relativa orecchiabilità, è un copione di certo non inedito. La differenza sta nel come lo si porta a compimento e proprio quello sguardo, abituato a centinaia di club e palcoscenici, furgoni e sale prove sconquassate dai feedback, garantisce una prospettiva inusuale, senza compromessi indipendentemente dal contesto. Altavilla ha composto i dieci brani in scaletta, nati in origine al piano, con il supporto in fase testuale di Patrizio Gioffredi. Ci ha messo quindi la voce, ovviamente: quella voce che, capace di passare dall’aggressività ferina all’impeccabile perfezione, soprattutto in sede live, può essere tranquillamente definita come una delle migliori in assoluto all’interno dei nostri confini. Voce che qui asseconda montagne russe di melodie dal cuore selvaggio, a volte fragili, a tratti romantiche, alla bisogna sfrontate, un attimo dopo scontrose.

Ciò nondimeno, colpisce pure l’eccellente lista dei musicisti chiamati a contribuire ad arrangiamenti ed esecuzioni, dal gusto minimale nel dosare la ricchezza degli strumenti impiegati: da Enrico Gabrielli a Valeria Sturba, per proseguire con Adele Altro (Any Other), Francesca Baccolini (Hobocombo), Alessandro Cau (Geoff Barrow, Miles Cooper Seaton), Luca Cavina (Calibro 35, Zeus!), Matteo Lenzi (Filarmonica Municipale LaCrisi), Jacopo Lietti (Fine Before You Came) e Fabio Rondanini (Afterhours, Calibro 35). Abbiamo lasciato per ultimo Marco Giudici, che si è occupato persino della produzione artistica, fornendo ampia sponda a soluzioni sonore anticonvenzionali (viene in mente il debutto in solitaria di Eleanor Friedberger, Last Summer, come eventuale termine di paragone attitudinale). Soluzioni che garantiscono all’inquietudine, cortina di fumo onnipresente, di agire come elemento di disturbo nei confronti della classica ariosità dei ritornelli, mentre il vento – field recording che agisce da filo conduttore – è carburante dell’agitazione sottopelle.

Si possono fare canzoni pop, secche e concise come se provenissero dal ’77, vestite in eleganti abiti dark da Club Silencio, e farle in chiave sperimentale. È quel che sembrano suggerci i synth vorticosi di “Nenia”, il beat di “Distrarsi”, l’andamento magnetico di “Rasente” o “Tentativo Per L’Anima”. Il titolo Morsa si riferisce sia alla sensazione di tormento che a volte imprigiona sia a una liberatoria perdita di razionalità, indotta per esempio dal pizzichìo velenoso della taranta, ma alla fine è questo disco un po’ vampiro che con delicatezza azzanna felicemente i generi musicali e anche l’ascoltatore.

Tracklist

01. Nenia
02. Distrarsi
03. Rasente
04. Epidermide
05. Un Bacio Sotto Il Ginocchio
06. Tentativo Per L’Anima
07. Sotto Le Ossa
08. Forca
09. La Trascrizione Dei Sogni
10. Quaggiù