ROPSTEN, Alamogordo

La musica si muove secondo vie tortuose, collegamenti e sinapsi, ricordi, sinestesie: non ho mai visto Westworld, serie TV elaborata da Jonathan Nolan e Lisa Joy partendo da un film omonimo di Michael Crichton, ma se dovessi pensare alla prima impressione che mi ha dato l’ascolto di “Benidorm”, brano di apertura del secondo disco degli Almagordo, sarebbe proprio quella di un Western truccato, con delle componenti digitali che risuonano come intrusioni storiche. Poi ho cominciato a sentire uno spessore nel suono, colpi pieni di elasticità e pesantezza che fanno del corpo musicale una bella base, piena ed avvolgente: “Buddhabrot” sposa questo incedere con degli slanci chitarristici sulfurei ed evocativi. Siamo nel territorio math-rock, genere che viene utilizzato in maniera fantasiosa, equilibrata e mai banale. Quando lo sguardo volge a Oriente si potrebbe leggere il tutto come cartolina, meglio allora catapultarmi nello spazio come “Blue Sky Rangers”, leggera e spedita. In “Milano2” i Ropsten gonfiano il basso e si fanno sornioni, sibilando il giusto per rendere la periferia inquietante quanto basta. La continuità fra sibili e botti è costante e ed è la forza del gruppo, che dimostra d’essere una solida e gommosa realtà.

 

Personali, senza grilli per la testa, pronti a sballottarci qui e là.