ROB MAZUREK, Chimeric Stoned Horn

Arriva da una distanza aliena e umanissima l’arte di Rob Mazurek, e colpisce cervello, stomaco e soprattutto cuore. “Arrival From A Distance” è l’ipnotico, fantastico inizio di Chimeric Stoned Horn, otto minuti e trentasei di pura meraviglia, un drone sottile e imprendibile à la Terry Riley su cui fioriscono disturbi di elettronica, caos di voci mistiche e tribali, metafore acustiche di synth analogici, una cornetta classica e dal suono nitido (ma che classica non risulta per nulla, in un simile contesto). Ispida e senza compromessi è “Chimeric Tomes”, un felice ibrido noisebop, rimbrotti di macchine analogiche e suoni come di cavi o caos elettrostatico a fornire pretesti per la fuga del fiato che non sa bene verso dove andare, poi “Charged Hollers”, un riff che riporta ai fasti della Exploding Star Orchestra, immediato, sospeso per aria, ma è solo un minuto, poi si torna nella fucina di Efesto con “Clap Thunder”.  “Cube Of Rain” ipotizza una versione jazz degli Autechre con impossibili spezie turche, “Fractured Tim”e sono dialoghi extraterrestri, come il David Durrah di Space I e Space II sulla mitica raccolta della Soul Jazz Universal Sounds of America.

Questo nuovo lavoro, ideale colonna sonora dell’esposizione Constellation Scores che vede in mostra stampe, dipinti, suoni ed oggetti del nostro a Lione fino al 27 ottobre in occasione della Biennale di Lione presso lo spazio Info de Villeurbanne (per tutti i dettagli, www.urdla.com), conferma ancora una volta lo stato di grazia assoluta di un musicista dalla mente aperta, vasta e coraggiosa: minimalismo, bop, spiritual jazz, elettronica, coolness, noise, esplorazione, tutto entra nel calderone del compositore del New Jersey: in alcuni episodi (sovente ci attestiamo su durate brevi, in questo disco, come fosse un catalogo di possibilità da esplorare in futuro), come ad esempio “Horn Stone”, la cornetta sembra una rocciosa chitarra elettrica, mentre “Like Bones Of Stars” pare un incontro tra Sun Ra e gli Wolf Eyes, o mostra quanto mondi apparentemente lontanissimi possano in realtà collidere.

La consueta epica cosmica pervade tutto il lavoro, come un vento solare che sospinge la navicella Mazurek, indomita nel sondare nuovi spazi e nuove galassie (“Planets Lower Crust”), per poi approdare su pianeti che sanno di fantascienza dei primordi (“Reticent Eye Cluster”, con le sue atmosfere à la Forbidden Planet), o di improvvisata come potrebbero immaginarla dei Bark liofilizzati oppure gli Icarus di I Tweet The Bird Electric (“Red Softly”): tutto questo suonando da solo una cornetta, campane, voce, campionatori e sintetizzatori modulati. Prima di richiudere il suo vaso di Pandora, Mazurek ci mostra altri tre minuscoli gioielli, ipotesi stupefacenti e stupefatte di ciò che verrà: l’assalto di “Stalking Light”, uno sputo freenoise di 11 secondi, quello “rock” di “Stoned Horn” (59 secondi) e i  35 secondi nella giungla enigmatica di “Swarm Hands”, che ci ricorda da vicino le atmosfere da videogame amazzonico allucinato dei Sao Paulo Underground.

Sedici perle luminose e ruvide, schegge di cometa probabilmente, per l’ennesimo centro pieno di una delle teste in fiamme della musiche avventurose (definirlo, ammesso che sia possibile farlo, jazz e basta, forse sarebbe riduttivo) di oggi.