PSYCROPTIC Psycroptic

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Australia ultima frontiera del metal estremo? La risposta è affermativa, se si tiene conto delle numerose uscite in ambito death provenienti dal “continente fossile” che affollano ultimamente il mercato. È il turno dei tasmaniani Psycroptic, che posizionano al centro dell’artwork di copertina del nuovo disco il simbolo dell’uroboro, a evocare la teoria dell’eterno ritorno, di un ciclo – in questo caso compositivo/musicale – che ricomincia dall’inizio dopo aver raggiunto la sua fine. A dispetto della bassa età media del gruppo, l’album eponimo è il sesto all’attivo di una formazione che ha mutato pelle in modo sempre più netto e sensibile nel corso di una carriera artistica già consistente. I fratelli Haley ci schiaffeggiano in pieno viso con il loro death metal tecnico, dopo alcuni album dalla valenza altalenante; mi riferisco in particolare a Ob(servant) e Inherited Repression, entrambi accolti con una certa freddezza dai fan a causa di un cantato che andava sempre più conformandosi ai dettami stilistici propri del metalcore. A questo proposito si possono infatti individuare due epoche distinte nella discografia del gruppo, entrambe segnate dalla personalità di due cantanti differenti: i primi due album con Matthew Chalk al microfono (The Isle Of Disenchantment e The Scepter Of The Ancients) rimangono espressione di un death tecnico molto brutale, soprattutto il secondo che gode di una produzione più professionale e di una maggiore versatilità da parte proprio di Chalk. L’avvicendamento di quest’ultimo con Jason Peppiatt conduce gli Psycroptic su coordinate stilistiche simili in Symbols Of Failure, mentre è soltanto con Ob(servant) che va affermandosi lo stile vocale che detterà legge fino ad oggi, ovverosia un cantato che non sfigurerebbe in un gruppo hardcore. Tuttavia, a beneficio dei fan di lunga data, è tranquillizzante sottolineare la permanenza dell’aspetto tecnico nella musica della formazione australiana, con frangenti solisti distillati con perizia cervellotica, ritmi intricati, blast beat annichilenti e una produzione appropriata che evita di saturare i padiglioni auricolari dell’ascoltatore, come purtroppo avviene sovente in questo tipo di uscite. Psycroptic si rivela molto valido nella sua totalità, ma anche molto più melodico del previsto, soprattutto rispetto alle uscite precedenti, come fosse la risultante dell’incontro di nuove e differenti influenze, in particolare Lamb Of God, ultimi Machine Head e Gojira. La qualità della proposta musicale sembra molto elevata e si evolve fino alla creazione di una commistione sorprendente tra un aspetto tecnico-strumentale sempre ancorato alle origini death e un groove energico e marcato sul quale si stagliano le urla ferali di Peppiat. In alcuni momenti dell’album, inoltre, il principale compositore del gruppo Jeff Haley ibrida la componente death ancora preponderante con il thrash e con l’heavy metal tradizionale. Sotto questo profilo Psycroptic appare originale e spiazzante, basato su canzoni totalmente destrutturate, che però si possono dire costruite su riff aggressivi e su una ritmica netta, precisa e ultrarapida. Talmente numerosi sono gli elementi contenuti nel disco che ci si smarrisce con facilità all’interno dell’alchimia creata dal gruppo australiano e riesce difficile evidenziare un brano che si elevi al di sopra del lotto. Si può tuttavia segnalare l’iniziale “Echoes To Come” che, introdotta da alcune note di chitarra acustica, è rappresentativa dello stato d’animo che pervade l’intero disco, fatto di un equilibrio ponderato di epica, ritmo avvolgente e interventi solistici di grande presa. A questo stadio della loro carriera, non è più necessario parlare di riconferme; gli Psycroptic conoscono infatti la materia e ci sorprendono con un album che costituisce un nuovo tassello, importante e riuscito, nell’evoluzione logica della loro musica.



Tracklist

01. Ending
02. A Soul Once Lost
03. Cold
04. Setting The Skies Ablaze
05. Ideals That Wont Surrender
06. Sentence Of Immortality
07. The World Discarded
08. Endless Wandering