OBAKE, Eraldo Bernocchi

Le foto di questo articolo sono di Federico Pedrotti

Le foto di questo articolo sono di Federico Pedrotti, che ringraziamo moltissimo.

Mutations ha innalzato il livello dello scontro, tanto da imporre gli Obake come uno di quei nomi con cui fare i conti se si vuole pensare ad un metal del secondo millennio in grado di superare nicchie e legami con sottogeneri specifici. Ecco perché era importante approfondire la conoscenza in sede di intervista e andare oltre alla semplice impressione personale. Nostro interlocutore un nome che da queste parti è transitato di frequente, Eraldo Bernocchi.

Di mutazioni gli Obake ne hanno affrontate di fondamentali, cominciamo con quelle di line up. Chi c’è ora in formazione e da dove viene musicalmente?

Eraldo Bernocchi: In realtà non ne ha subite poi così tante di modifiche. Dal vivo adesso c’è Jacopo Pierazzuoli alla batteria perché Balázs Pándi aveva degli impegni personali e non avrebbe potuto seguirci per l’intero tour. Al basso, al posto di Massimo Pupillo c’è Colin Edwin dei Porcupine Tree, ha suonato anche in studio e sul disco. Colin è a tutti gli effetti il nuovo bassista di Obake.

Presentaci Jacopo Pierazzuoli, quali altre particolarità avrà il vostro live?

Jacopo è un giovane mostro… a noi non serve un batterista prettamente metal, abbiamo bisogno di qualcuno che sappia suonare praticamente tutto e che sappia improvvisare sia in studio, sia sul palco. C’è sempre una componente di improvvisazione nei nostri brani, non potrei vivere senza, mi annoierei a morte. È importante avere qualcuno sul palco che sia in grado di affrontare dei cambi di direzione immediati.

Obake non è una band metal tradizionale, a dire il vero manco so cosa sia. Abbiamo bisogno di qualcuno che sappia adattarsi e che sappia suonare jazz, reggae, qualsiasi cosa ci passi per l’anticamera del cervello. Non sappiamo mai cosa andremo a fare. Per questo motivo un batterista come Balázs Pándi è stato fondamentale per i primi due dischi. Quando Balázs ci ha comunicato di avere degli impegni inderogabili e che sarebbe stato abbastanza difficoltoso riuscire a mettere insieme delle date, abbiamo pensato subito a Jacopo. Con lui ho registrato Osso con i Morkobot e mi sono trovato benissimo. Ci sembrava la scelta migliore, siamo assolutamente convinti.
Forse la particolarità di questo tour e anche dei prossimi è che – avendo Colin al basso e Jacopo alla batteria – per la prima volta sarà tutto molto più macchina, una gigantesca macchina inesorabile. La sezione ritmica è meno free e più groove.

Le foto di questo articolo sono di Federico Pedrotti

Anche il suono si è evoluto e ha cambiato forma. In qualche modo direi che la creatura ha affinato le sue armi e si è fatta più insidiosa. Quali le maggiori differenze nella creazione dei due lavori?

Ora c’è una coesione molto più forte tra noi e dopo il primo album abbiamo tutto più a fuoco.

Il problema con molti di coloro che vogliono dare una veste attuale al metal è di creare qualcosa che suoni moderno qui e ora ma rischia di diventare subito modernariato. Soprattutto quando si pensa che dare un’aria cyber al tutto basti a renderlo futuribile. Mi sbaglio?

Sono assolutamente convinto che il metal, oggi come oggi, sia la forma musicale e il contesto musicale più libero ed evoluto che ci sia. E il black metal è quello che ha aperto le menti di un sacco di ascoltatori, così come di molte band. Non credo che il problema sia cercare di suonare moderni, credo piuttosto che il problema sia in realtà cercare di assomigliare a qualcosa. Tendere a qualcosa che non si è. Quando una band o un artista restano ciò che sono non senti mai quell’odore di finto, di plastica. Quindi in realtà non si tratta di modernariato o cercare di fare qualcosa di nuovo, si tratta di restare quello che uno è. Se si resta ciò che si è, alla fine il messaggio arriva e supera anche il test del tempo. Se si fa ciò che si sente, veramente il messaggio arriva.

Al contrario, trovo negli Obake un che di realmente nuovo e personale, un giusto bilanciamento tra suoni e scrittura che rende il tutto attuale ma rifugge i facili colpi di scena e preferisce interagire con contaminazioni più rischiose ma decisamente più interessanti. Come vi siete mossi in fase di composizione?

Noi in realtà facciamo solo quello che ci passa per la testa. Non c’è una pianificazione, un’idea da cui partire. In genere io porto in studio dei riff, per me è già tanto, per me è già scrivere se vogliamo chiamarlo così. Sono abituato improvvisare, sono abituato a creare mentre improvviso e poi a trasferire alla band le mie idee. Gli altri in genere fanno lo stesso. Questa volta abbiamo lavorato di più in arrangiamento. Ognuno ha portato delle idee in studio e abbiamo creato in modo istantaneo. Credo nella creazione istantanea. È una sorta di caos primordiale che poi devi addomesticare per arrivare alla forma brano finita e compiuta. Solo in questo modo secondo me riesci a conservare tutta l’energia. Mutations l’abbiamo concepito in cinque giorni di studio… salvo poi che io e Lorenzo abbiamo passato del gran tempo ad arrangiare e pulire tutto quello che non convinceva. Lui è maniacale, la sua educazione classica lo porta ad arrangiare e orchestrare, mentre io sono sempre più minimale, il connubio funziona perché uno completa l’altro.

Le foto di questo articolo sono di Federico Pedrotti

In rete Mutations ha ottenuto reazioni entusiastiche sia nei social, sia nei media, anche da parte della comunità metal. Vi aspettavate una simile risposta e, parte difficile, quanto conta la vostra estrazione/background atipico nel riuscire a creare un album che, pur staccandosi dai soliti cliché, non fatica a catturare consensi proprio tra i metallari?

Eravamo un po’ preoccupati, perché visto le reazioni al primo disco, che erano state super entusiaste, ci siamo chiesti che cosa sarebbe accaduto con questo che è più strutturato e più orientato verso brani veri e propri. Le reazioni adesso sono ancora più entusiaste, The Quietus e Rock-a-Rolla l’hanno nuovamente messo tra i dischi dell’anno, insomma siamo abbastanza imbarazzati da tutto questo e ci rendiamo conto che la fuori c’è un pubblico che aspetta di vedere sul palco ciò che ha ascoltato su disco con la stessa intensità di energia. Non ho la più pallida idea di quanto possa contare il nostro background nell’attirare consensi, posso dirti di sicuro che secondo me oggi il metal è l’ambiente musicale più aperto che ci sia, se calcoli da dove veniamo.

Una delle caratteristiche principali di Mutations è la capacità di giocare con umori e linguaggi differenti senza mai perdere una propria omogeneità/identità di fondo, in particolare mi ha molto colpito l’uso della voce. Quali sono i cardini attorno a cui ruota l’universo Obake?

Non ci sono dei cardini ben precisi. Certo avere un cantante come Lorenzo fa la differenza perché non è il solito cantante metal. Lorenzo è prima di tutto un cantante d’opera, quindi è in grado di cantare e rendere vocalmente qualsiasi cosa. Dai Carcass a Puccini. Cambia profondamente l’approccio a tutto ciò che facciamo. Anche perché siamo io e lui che produciamo e arrangiamo i brani, quindi lavoriamo a strettissimo contatto in studio anche per mesi e a volte anche scontrandoci per i motivi di cui ti parlavo prima. L’uso della voce è fondamentale, io non riesco a immaginare Obake con un’altra voce perché la sua è quella che funziona sull’incontro delle nostre armonie, le mie più blues mentre le sue più classiche e orchestrate. E poi ci sono la continua evoluzione la continua sperimentazione che per me è fondamentale, uno dei motivi per cui non ho mai voluto avere delle band prima di Obake e Metallic Taste Of Blood è proprio quella sensazione di immobilismo che mi ha sempre dato il concetto di band.

Da cosa prendono spunto i vostri brani a livello di immaginario/tematiche? Cosa influenza la vostra scrittura e in che modo la stessa prende ispirazione (se lo fa) dal mondo che la circonda?

In genere da immagini frasi cose che mi accadono, ma soprattutto immagini. Tendo a visualizzare molto, le immagini sono importantissime nella mia vita e devo avere un rapporto stretto con chi si occupa delle mie, come Petulia Mattioli. Per Obake la priorità, almeno per me, è ritrovarmi a suonare dei riff che mi facciano sentire qualche brivido lungo la schiena o che mi diano una sferzata di energia. Parto da lì o dalle immagini.

A proposito di realtà, siete ancora ascoltatori curiosi? C’è qualche nuovo nome/nuova realtà che ha catturato la vostra attenzione di recente e che vorreste suggerire ai nostri lettori?

Vorrei poterti aiutare, ma in realtà ascolto così tante cose e così diverse tra loro che onestamente mi riesce difficile indirizzarti verso questo quell’altra direzione. Forse il disco che ho ascoltato di più negli ultimi tempi è l’ultimo dei Triptykon. Mi sono riascoltato l’intero catalogo Basic Channel, roba meravigliosa, quando l’elettronica raggiunge livelli che ti lasciano senza parole. Tanta roba ambient, poca roba noise.

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Quali, invece, i difetti della scena musicale italiana e i limiti che si porta dietro (parliamo ovviamente al netto della musica da talent un tanto all’etto)?

La mancanza di professionalità, a qualsiasi livello. Da chi organizza, ai locali, alle band stesse. Gente che suona dieci concerti ed è convinta di essere gli U2. È un po’ il dramma dell’italiano. L’italiano alla fine è un tamarro nell’animo, è uno che vuole sempre essere al centro dell’attenzione e farsi dire bravo perché pensa di esserlo. In trentacinque anni di musica la cosa più fastidiosa che abbia mai riscontrato in questo paese è la mancanza di umiltà. Essere umili aiuta ad imparare, sapersi adattare, aiuta a non fare dei soundcheck che durano due ore perché devi provare il pedalino nuovo e non te ne frega un cazzo se dopo ci sono altre cinque band che devono suonare.

Ti faccio un esempio di circa un mesetto fa, ti da la dimensione dell’attitudine italiana. Vado a suonare a un festival in Germania con uno dei miei progetti (non chiedermi nomi perché non ne farò). In due giorni di festival c’è di tutto, tra cui anche due act italiani, di cui uno “storico” in un ambito di nicchia, niente di eclatantemente di successo ma storico. Non ci sono camerini separati, ci saranno quindici band, un enorme salotto, catering, roba da bere, un paio di cessi, due uffici e qualche stanza magazzino. Il tutto è molto accogliente. Insomma, che ognuno si cerchi un angolo, si svacchi su un divano e faccia due chiacchere con chi c’è (vedessi mai che esce qualcosa di interessante di cui parlare o un’idea per un nuovo progetto). Cosa fa la band italiota? Prende un rotolo di carta igienica, scrive il suo nome su mezzo metro di foglietti e li appiccica sulla porta di uno dei due uffici, dopodiché ci si infilano tutti e si chiudono nel “camerino” fino alle due del mattino… dalle tre del pomeriggio. Non salutano nessuno, non condividono nulla. Mi sono spiegato? Tira tu le debite conclusioni.

... Grazie mille, un’ultima curiosità, in quali altri progetti/album troveremo coinvolti i singoli membri degli Obake nei prossimi mesi?

Il prossimo album di Metallic Taste Of Blood, sempre con Colin al basso, ma questa volta con Ted Parsons (Godflesh, Swans, Killing Joke, Prong) alla batteria e Roy Powell alle tastiere. Un nuovo Sigillum S con Tony Wakeford alla voce, un cofanetto ultra speciale per i trent’anni di Sigillum S, che ricorrono nel 2015 ma ci stiamo lavorando da ora. Un nuovo album di Owls, il debutto di Mangiati Vivi con Gio LCB e Paul Gillis di Morgue Supplier alla voce, un progetto solista di cui al momento non voglio ancora dire nulla e un’altra marea di roba in via di definizione. Il mio solito delirio…
Lorenzo sta lavorando al nuovo Berserk con Feliciati e Eivind Aarset, un nuovo progetto con Laswell e Petrella è un disco con Colin, Carmelo Pipitone e Pat Mastelotto.

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