NIGHT BEATS, Rajan

I Night Beats di Lee Blackwell, al secolo Danny Lee Billingsley, sono nati quando gli strali della psichedelia più torrida tornavano a colpire gli Stati Uniti, circa dieci anni fa, sotto il segno dei 13th Floor Elevator. I Night Beats erano la “ronda” della scena: se i Black Angels stavano guidando (più o meno) il rinascimento psichedelico e altri (tipo John Dwyer o Tim Presley) stavano plasmando quella stessa materia in chiave freak, i Night Beats si rifacevano pedissequamente non solo alla tradizione dei Sixties, ma anche all’immaginario pop e R&B classico (si veda il progetto laterale di Blackwell con Christian Bland dei Black Angels, The UFO Club, e la cover di “Be My Baby”, per capire). Per farla breve, erano la frangia più innocua e conservatrice, ma d’altronde, che ci si poteva aspettare da una band che prende il nome da una canzone di Sam Cook? Who Sold My Generation? (2016) è stato l’unico tentativo di far entrare un po’ di cattiveria nelle corde dei Night Beats, che poi sono rientrati tra le maglie nel passatismo psichedelico, riletto nell’epoca di Khruangbin, Altin Gün, Yīn Yīn, degli ultimi Allah-Las e così via. Non differisce Rajan, in cui Blackwell inserisce funk-soul polveroso e anatolian rock qui e là, flanger e modulatori che aggiungono il tocco di lisergico, così il gioco è fatto: un album funky psichedelico pronto per gli aperitivi circondati da tizi col cappello da mandriano e camice floreali che vi raccontano dell’ennesima tre giorni al Primavera.