MOGWAI, Atomic

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Tra i grossi nomi del post-rock (e il loro è forse il più grosso, almeno nel Vecchio Continente), i Mogwai sono quelli che maggiormente hanno cercato l’evoluzione e l’affrancamento da quegli stilemi diventati ormai archetipici per il genere, cioè le quelle alternanze tra pieni e vuoti e tra pianissimi e fortissimi che loro stessi avevano contribuito a codificare nei loro primi lavori. A voler essere cattivi, qualcuno potrebbe anche dire che gli scozzesi stanno tentando da una quindicina d’anni (più o meno da Rock Action) di trarsi fuori dall’impasse nella quale si sono trovati dopo aver pubblicato due monumenti come Young Team e Come On Die Young. Ricondurre però la loro parabola a quei due primi, formidabili dischi è sicuramente ingeneroso e irrispettoso nei confronti di una carriera ragguardevole, e sarebbe davvero sciocco, oggi, aspettarsi dai Mogwai un nuovo “Cody”, anche perché quando ci hanno provato (con The Hawk Is Howling) i risultati sono apparsi quanto meno rivedibili.

Atomic è composto da versioni rielaborate della musica registrata per la colonna sonora di “Storyville – Atomic: Living in Dread and Promise”, documentario andato in onda su BBC Four nell’estate del 2015 e diretto da Mark Cousins. Quello delle colonne sonore è parso fin da subito, fin da quando, cioè, è stato loro commissionato il commento di “Zidane – A 21 Century Portrait”, un naturale approdo per la musica degli scozzesi e, passando per Les Revenants, questo Atomic si rivela come l’episodio più riuscito tra i tre e forse l’unico che possa reggere il confronto con i titoli “canonici” della loro discografia. “Costituito interamente da immagini di archivio, il documentario è un caleidoscopio impressionistico degli orrori del nucleare – marce di protesta, Guerra Fredda, Chernobyl e Fukushima – ma anche della bellezza sublime del mondo atomico, e di come radiografie e risonanze magnetiche abbiano migliorato le nostre vite”, afferma il comunicato stampa. “La colonna Sonora dei Mogwai incapsula l’incubo dell’era nucleare, ma anche le sue qualità oniriche”. In presenza di immagini di tale potenza diviene quindi condivisibile la scelta del gruppo di fare un passo indietro e non sovraccaricare il lato emotivo con deflagrazioni chitarristiche che sarebbero sembrate inutili e ridondanti. Chi ha seguito con attenzione la loro parabola non sarà quindi sorpreso di incontrare l’elettronica rigorosa di brani quali “Ether”, “SCRAM”, “U-235”, “Weak Force” o i misurati crescendo di “Pripyat” o “Tzar”, riconducibili a quanto già ascoltato nell’ultimo Rave Tapes.

Il punto di forza di questo lavoro sta nel suo essere composto da dieci brani dal minutaggio ridotto, una formula molto agile che obbliga alla concisione, alla condensazione delle idee e permette al contempo di svariare su diversi versanti. Quanto di piú simile, quindi, i Mogwai potessero fare a un disco di (belle) canzoni.

Ennesima dimostrazione, semmai ce ne fosse ancora bisogno, di come i quattro scozzesi siano ancora in grado di realizzare qualcosa d’interessante, qualitativamente elevato e ad alto contenuto di classe, con buona pace di chi si aspetta da anni una nuova “Mogwai Fear Satan”.

Tracklist

01. Ether
02. Scram
03. Bitterness Centrifuge
04. U-235
05. Pripyat
06. Weak Force
07. Little Boy
08. Are You A Dancer?
09. Tzar
10. Fat Man