MASSIMO MARTELLOTTA, One Man Sessions Volume 1: Sintesi

Meglio tardi che mai. Si era perso nella pila dei promo che oramai faccio sempre più fatica a smaltire (*) il buonissimo primo volume per Cinedelic delle One Man Sessions di Massimo Martellotta, compositore e polistrumentista per Calibro 35.

In questo progetto, realizzato in completa autonomia, il musicista suona tutti gli strumenti da solo: il primo capitolo, Sintesi, è, come da titolo, dedicato ai sintetizzatori. Frutto del lavoro di un giorno e realizzato utilizzando esclusivamente sintetizzatori (analogici e digitali), il disco è uno sviaggione in sei episodi brevi (il più corposo dura sei minuti), cinematografico e marziano come da previsioni, senza però per questo essere didascalico. Martellotta, infatti, dimostra assoluta padronanza della materia ambient/sci-fi, la paletta timbrica utilizzata è ampia, densa di sfumature e capace di creare suoni che i nostri occhi – come recitava un titolo dei dimenticati Moonshake secoli fa – possano seguire. Puro cinema per l’udito, dunque, tra digressioni quasi prog, dilatazioni space, fughe nelle infinite possibilità dei sottomondi, apnee terribili e bellissime, un mood tra il languido ed il minaccioso che fa pensare a volte a una sorta di versione lounge di “2001: Odissea nello Spazio” o a un incontro celeste tra gli Emeralds e Brian Eno. Sei pezzi senza titolo, come prototipi usciti da un laboratorio agganciato a una stazione in orbita oltre la stratosfera, sei fiale di roba buona e completamente legale, priva di effetti collaterali, una perfetta colonna sonora per i primi esperimenti di chimica psichedelica dei laboratori Sandoz. Algido, controllato, nitido e intimamente selvatico, dotato della profondità sinfonica della classica pur nascendo da sintetizzatori, suona appunto come la musica che Albert Hoffmann e i suoi collaboratori avrebbero potuto utilizzare in un dei loro settings nel corso dei primi esperimenti con l’LSD. Qualche digressione pericolosamente vicina alla new age (“Sintesi 5”, con quei wooosh di tastiera che faccio sinceramente fatica a digerire) non compromette comunque la riuscita di questo primo volume, a cui è già seguito il secondo, Unprepared Piano, e a cui questo mese segue il terzo, One Man Orchestra. Occorre recuperare il terreno perduto, e mettersi sulle tracce di quanto combina Martellotta: ne vale la pena.

* un giorno sarebbe anche giusto e interessante e forse divertente imbastire una riflessione su come alcuni musicisti dell’underground italiano – chissà come mai non del jazz, però… – si rapportino con noi che scriviamo, quasi come fossimo il loro ufficio stampa; magari prima o poi arriverà il momento.