LENTO, Lorenzo Stecconi

Con Fourth i Lento offrono all’ascoltatore una prova che mostra ben pochi appigli a critiche di sorta: rimasti in tre e limata la propria scrittura per massimizzare l’impatto, alternano bordate di suono distorto a parti ambient che anziché spezzare la corsa aumentano la coesione del tutto e concorrono alla riuscita di un disco che va assaporato tutto d’un fiato e non fatica ad imporsi come una delle uscite più interessanti di questo anno in chiusura. Ecco cosa ci ha raccontato Lorenzo Stecconi, uno degli artefici di questo monster album. Le foto a corredo dell’intervista sono del nostro Antonio Cassella e ritraggono il concerto al Cox18 di Milano del 7 ottobre, di cui ha scritto il report.

Supernatural Cat, Denovali, e ora Consouling Sounds. Avete pubblicato album per etichette con un catalogo di tutto rispetto e un’impronta ben definita. Come siete arrivati a Consouling?

Lorenzo Stecconi (chitarre): Ho conosciuto personalmente Mike e Nele di Consouling Sounds durante un tour con gli Zu, Massimo aveva già lavorato con loro e dopo una bella chiacchierata a Gent abbiamo deciso di far uscire il disco con loro. Seguono i Lento dagli albori ed erano entusiasti di farlo. Collaborare con diverse etichette per noi rappresenta anche un modo per tenere vivo il fuoco della musica e dare una ventata di freschezza ai nostri album. Siamo ovviamente rimasti in ottimi rapporti con le altre etichette citate, sia ben chiaro.

Ancora una, prima di passare alla musica tout court. Avete scelto una foto monocromatica per la copertina, che cosa rappresenta? Come scegliete le immagini da accompagnare alla vostra musica e che tipo di ruolo ricopre l’aspetto visivo/grafico nei vostri lavori?

La foto è stata scattata dalla mia compagna Cecilia Bianchi durante un viaggio qualche anno fa nelle Highlands scozzesi. Si tratta di un antico cimitero in mezzo alla brughiera scozzese alle porte dell’isola di Skye. Quando siamo tornati abbiamo stampato la foto in grande ed è stata appesa nel mio studio di fronte a noi per tutto il tempo delle lavorazioni del disco. Quando finalmente avevamo finito con le registrazioni per tutti noi era naturale che quella fosse la cover. Direi che in questo caso è stata l’immagine a scegliere noi.

Avete iniziato la carriera in cinque, con tre chitarre. Negli ultimi anni avete cambiato spesso formazione fino a rimanere un trio. Ritenete che l’attuale line-up a tre rappresenti l’incarnazione definitiva della band?

Lento è sempre stato un collettivo aperto. Chi può dirlo? Magari nel prossimo disco saremo in 10, non ci siamo mai posti dei grandi problemi a riguardo. Senza dubbio la vita in trio a livello logistico è decisamente più semplice e per il momento ci stiamo godendo questa scelta.

A giudicare dall’album, questo nuovo assetto ha portato una maggiore coesione e forza d’urto nei pezzi o, almeno, l’impressione che è quella di una maggiore messa a fuoco e una spiccata capacità di concentrarsi sulle sensazioni suscitate più che sulla forma dei brani rispetto al precedente disco. Condividete questa impressione personale?

Come musicisti e compositori, la vita in trio invece è molto più difficile. Rimanere con una sola chitarra per un gruppo come il nostro che sempre ha fatto la sua forza sull’impatto è una scelta dura e difficile. È come uscire per strada in mutande, per capirsi. Questo ha portato inevitabilmente a delle scelte di scrittura diverse che credo hai centrato in pieno. Abbiamo cercato il più possibile di far scorrere il disco come un flusso unico, e questa cosa ci ha portato via molto tempo, pensa che abbiamo cominciato a scrivere i brani a dicembre 2014 e abbiamo finito solamente a settembre dello scorso anno.

Un altro aspetto che colpisce è la dicotomia tra brani dal forte impatto e partiture ambient, un’alternanza che aumenta anziché spezzare l’organicità del tutto, da cosa è nata questa decisione e cosa vi ha spinto verso questo approccio?

Questa è stata una scelta che abbiamo fatto sin dal primo disco. Quello che abbiamo sempre cercato è di non esaltare la dicotomia ma di fondere insieme le due anime.

A mancare sembrano essere ora alcune aperture corali, ai confini del post-rock, presenti invece su Anxiety Despair Languish. Scelta ragionata o evoluzione connaturata al nuovo assetto?

Scelta ragionata ma anche obbligata per certi versi. Di certo in 3 strumenti è parecchio più difficile dare un’attenzione maggiore alle melodie. Anxiety Despair Languish era un disco massimalista, pieno di strumenti e sovraincisioni. Con questo disco abbiamo scelto di rimanere più scarni ma allo stesso tempo cercare di sfruttare al massimo le nostre potenzialità come trio.

Come l’essere diventati trio influirà sul vostro impatto dal vivo? Cambierete l’impostazione dei vecchi brani?

Le date che abbiamo fatto in quest’ultimo anno sono state una piacevole sorpresa. Non pensavamo di poter avere così tanta energia in trio. Abbiamo acquisito molta più sicurezza e potenza anche se c’è un elemento in meno rispetto a prima. Devi sapere che noi tre siamo amici da quando andavamo ancora a scuola e ciò aiuta molto, ci capiamo al volo senza neanche parlare.

In queste prime date presenteremo esclusivamente il disco nuovo tralasciando le vecchie cose. Alcune cose sono praticamente impossibili da presentare in tre e una sola chitarra.

A breve sarete in giro per promuovere l’album, come vedete l’attuale situazione live per una formazione come la vostra che ha ormai un suo percorso e una discreta esperienza dal vivo? Credete esistano ancora delle differenze nel modo in cui la musica dal vivo viene gestita all’estero rispetto all’Italia e soprattutto credete che nel nostro Paese le si dia il giusto peso?

Miei cari, la situazione in Italia è veramente critica. Dal punto di vista della proposta musicale il livello medio sta decisamente peggiorando a vista d’occhio al di fuori del nostro caro underground del quale fortunatamente non ci siamo mai dovuti lamentare. La band italiana media è parecchio legata agli standard commerciali e alle mode del momento.

Il problema del fare concerti in Italia è sempre il solito: mancano posti per suonare di “medio” livello e quei pochi che sono rimasti chiudono, vengono chiusi o sgomberati. Fortunatamente però ci sono ancora tantissimi appassionati di musica che seguono i concerti supportando le realtà di gruppi come noi e questo ci dà ancora la forza di continuare a macinare chilometri in tour.

In generale, cosa riesce ad attirare la vostra attenzione nell’attuale panorama culturale e come si sono (sempre che lo siano) spostati i vostri gusti nel tempo non solo come musicisti ma anche come ascoltatori?

Sinceramente sono sempre stato un avido consumatore di ogni tipo di musica, mi capita anche di ascoltare 8-10 dischi in un giorno. Poi però di colpo scopro una cosa e mi fisso. Credo di aver ascoltato Airs di Loren Mazzacane Connors 4-5 volte al giorno per un mese. Come musicista mi affascina la composizione classica e mi ossessiona la ricerca del suono.

Grazie mille del vostro tempo, a voi i saluti finali e le ultime aggiunte.

Grazie a voi delle piacevoli chiacchiere, speriamo di vederci presto e un saluto a tutti i lettori di New Noise che è sempre un faro sulla musica vera.