KING GIZZARD & THE LIZARD WIZARD, Ice, Death, Planets, Lungs, Mushrooms And Lava + Laminated Denim + Changes

Se dieci anni fa aveste chiesto chi erano i King Gizzard ai pochi che li conoscevano, la risposta sarebbe stata probabilmente che si trattava di una garage-band come se ne vedevano molte in quei giorni.

Dopo una ventina di uscite ufficiali, la domanda oggi incontra una risposta più complicata: dal garage-surf di 12 Bar Bruise e Willoughby Beach Ep gli stili adottati sono stati così tanti da rendere superflua qualsiasi catalogazione. Eppure a ogni uscita la tentazione di fare le pulci all’arzigogolata carriera del sestetto di Melbourne è forte: tra alti e bassi i King Gizzard si sono comunque imposti come una delle band di maggior successo del panorama psichedelico di questo periodo. Generatori naturali di hype, hanno fatto della creazione dell’attesa, della moda dell’album a tema (ora quello kraut, ora quello jazz, ora quello prog, ora quello metal e via dicendo) e della pubblicazione compulsiva il segreto con cui coltivare una fanbase sempre più nutrita e sempre più devota. Nei primi anni sono anche riusciti a guadagnarsi la fiducia di buona parte dell’underground grazie a dischi come Float Along/Fill Your Lungs e I’m In Your Mind Fuzz, che prendevano il garage-rock per plasmarlo a seconda delle esigenze: jam kraut, assalti acidi, morbidezze pop. Quest’ultimo elemento è da non trascurare: loro sembrano aver sviluppato una passione per musiche via via più orecchiabili e distese, come testimoniano Oddments e Paper Maché Dream Balloon. Eccezion fatta per Nonagon Infinity, che continua a essere il punto apicale della loro carriera, a prevalere nel corso degli anni è stata una vena pop-jazz (e infine anche prog) che fonde elementi di musica tecnica e/o colta con criteri di ascoltabilità e fruizione su larga scala.

Non è tutto oro quello che luccica, però: il tour de force del 2017, durante il quale i King Gizzard riuscirono a pubblicare cinque album, è costato molto in termini creativi. Molte delle idee più buone, come Polygondwanaland e Murder Of The Universe, furono forse abbozzate in fretta e furia, lasciando il sentore che una gestazione più lunga avrebbe giovato: da allora il gruppo sembra aver abbandonato il “rock” – salvo tornarci su ogni tanto (l’ottimo revival fake thrash-metal di Infest The Rats’ Nest) – in favore dello stile più levigato di Sketches Of Brunswick East e Gumboot Soup. Da allora bisogna ammettere che le idee latitano e i dischi sono ormai una biglia sul piano inclinato della prevedibilità: dal blues (?) risciacquato di Fishing For Fishies al synth-pop caramellato di “Butterfly 3000”, i King Gizzard sembrano, almeno per il sottoscritto, non azzeccarne mezza.

Per arrivare alle uscite di ottobre, seguito dell’abbuffata di Omnium Gatherum in primavera e di Made In Timeland, i King Gizzard si confermano esperti maneggiatori di quei generi tra l’eclettico e il gigionesco: perciò, vai con le interminabili jam di “Ice, Death…”, sette tracce ispirate alle sette scale modali in cui i sei di Melbourne spaziano dal pop psichedelico di “Mycelium” al funky arrembante di “Iron Lung” (per citare le canzoni appena memorabili). Nel mezzo ci passa di tutto: metal, micro-toni, poli-ritmi, assoli, valanghe di riff, folk-prog, fiati, city-pop e chi più ne ha più ne metta. “Ice, Death…” è un omaggio alle speculazioni musicali di Frank Zappa, Ween, Phish, Primus, Tool, anche se è un paragone da prendere con le molle. Passando invece a quello che tra questi tre si prospetta essere l’album composto da “vere” canzoni, Changes, troviamo le solite tracce di una lunghezza spropositata (“Changes”, “Astroturf”), ma costruite su una continua modulazione jazz-pop, che ricorderà, anche ai fan più distratti, “Sketches…” e “Fishing…”. Changes non si discosta molto dalle prove più leggere della band: pop psichedelico, con improvvisate soul, stacchi di piano, groove funkeggiante (“Astroturf”, “Gondii”) e roba che già avete sentito milioni di volte: forse la prova più deludente. Il dittico Laminated Denim, con due tracce di quindici minuti a dividersi la mezz’ora d’ascolto, è forse la scelta più riuscita: folk-prog-kraut che viaggia spedito, ricordando i migliori momenti di Polygondwanaland, anche se ci si aspetterebbe qualcosa di più. Insomma, non c’è niente da fare, i King Gizzard hanno deciso di seguire l’amore per la jam e la sperimentazione tecnica, non badando alle infinite porte che lasciano aperte, in un marasma di album, ep, bootleg e pubblicazioni di sorta. Qualcosa di buono in questo delirio si trova: che fatica però.