KARITI, Dheghom

Il secondo album di kariti, artista russa di base a Trieste, allunga le sue trame su quella landa vasta e oscura che è, sì, la dimora dei mortali, ma è in primis la madre terra. Se l’esordio Covered Mirrors del 2020 omaggiava i cari estinti e marciava attraverso il lutto, prediligendo il folk acustico, Dheghom vede la luce – per modo di dire… – dalla dannazione del vivere e si abbarbica alla realtà che calpestiamo tutti i giorni. Gli eventuali termini di riferimento restano i medesimi: da Nico a Marissa Nadler, alla Chelsea Wolfe degli esordi, sino a Steve von Till e David Eugene Edwards. Il raggio d’azione, però, si amplia: sia con il cambio di etichetta, dall’italiana Aural Music all’olandese Lay Bare Recordings, sia con il coinvolgimento – oltre a Marco dei Grime alla chitarra e agli effetti noise – di ulteriori musicisti a rendere il sound più corposo e ambizioso. Il passaggio è efficacemente garantito da grande asciuttezza formale e salda visione d’insieme.

Si inizia sempre con una intro spoken, in questo caso l’aspra “As Within”, da una poesia di Aleksandr Blok, per addentrarsi subito nelle onde synthetiche di “A Mare Called Night” – le stesse onde che increspano il sipario in “So Without”, il cui testo è una traduzione delle parole di “As Within”…  – e lasciarsi incantare dai profondi arpeggi elettrici di una “Son” proiettata verso il riverbero del tempo. Alternando la propria lingua d’origine e quella inglese, il rosario di ballad prosegue con il minimalismo teatrale di “Vilomah” (ospite Dorthia Cottrell) e il pianoforte analogico delle classicheggianti “Reckoning” – con gli archi di Jon K – e “Sanctuary”, mentre spetta alla programmatica “Metastasis”, messa al nero dallo sfrigolante avvio strumentale, rincupire i toni. “River Of Red” ed “Emerald Death”, con la voce anche enfaticamente in primo piano, si riallacciano all’(heavy) blues, quasi a evocare spettri di Nick Cave e Anna Calvi, di To Bring You My Love. Nell’assecondare una sorta di passaggio dalle immagini fisse, perpetuate e perpetuabili, a quelle in liminale movimento, l’ambient dark songwriting di kariti si fa a colori, seppur rimanendo avvolti, questi ultimi, in fitte, irrinunciabili nebbie.