INFALL, Far

Here we are, far, far apart from each other

L’abbiamo detto e ridetto, ed è giusto ripeterlo: l’underground italiano è ricchissimo. Tante band, tante uscite ogni anno, tantissime idee. Roba buona per lo più. Bisogna però fare i conti con la realtà: quante band, dopo un esordio promettente, riescono ad imbastire un percorso che vada oltre l’obiettivo base “voglio fare tanti concerti di fronte ai soliti quattro stronzi che già mi conoscono”?

Agli Infall piace un sacco suonare di fronte a noi quattro stronzi che li apprezziamo perché dal vivo tirano giù i muri, ma non si accontentano di questo. Nella loro musica si avverte una gran voglia di progredire, spingersi oltre i limiti e mettersi sempre in gioco. La stesura di un nuovo disco non è soltanto un passaggio obbligato per trovare qualche data e rifornire il banchetto del merch: così come Silent, primo lp datato 2017, si era rivelato un deciso passo avanti rispetto all’acerbo Nitecomes, Far segna un’ulteriore tappa nel percorso di crescita di una band sempre più sicura dei propri mezzi.

In questi dodici brani gli Infall danno sfogo a tutto il loro (notevole) bagaglio tecnico, materia prima imprescindibile per chi segue le orme di Converge, Botch e Cult Leader, ma tra ritmiche da capogiro e spigolosità math-core trova spazio anche l’elemento melodico. Infatti, alle cavalcate frenetiche a trazione hardcore come i singoli “Triumphant March” e “Stamina” si aggiungono composizioni dove spunti atmosferici e squarci riflessivi prendono il sopravvento, come “Spring Peace” o l’amara progressione di “Man Down”.

È proprio quando la furia delle distorsioni concede brevi attimi di tregua che il tema del disco emerge in tutta la sua intensità. Far ci parla di lontananza e separazione, condizioni che si possono creare per i più svariati motivi: dalle barriere sociali o ideologiche che dividono la società all’alienazione provocata dall’utilizzo sconsiderato di media e social network (“Triumphant March”), passando per le tragiche fatalità della vita, come la malattia o la perdita di una persona cara (“Check Pulse” e “Forever Mine”).

Far non si limita a tirare manate in faccia all’ascoltatore con la sua brutalità. Colpisce allo stomaco e al cuore per il suo contenuto profondamente emotivo, e penso che Kurt Ballou, che ne ha curato il mixaggio, abbia preso nota di questi ragazzi di Torino. Meritano qualcosa di meglio dei soliti quattro stronzi sotto il palco.