Impetus Festival, 15/4/2015

Intro

Belfort, La Poudrière.

A due passi dalla Svizzera, l’Impetus Festival raduna nomi grandi e piccoli del panorama metal francese e internazionale per una cinque giorni di concerti, inglobata in un programma ricco di mostre, esposizioni, conferenze e appuntamenti gastronomici in varie località della Franche-Comté.

Se la proposta musicale spazia dal black metal all’industrial e al jazz, toccando anche lo sludge-doom con i nostri Ufomammut, il primo appuntamento del festival a La Poudrière di Belfort – ex polveriera alle pendici di una montagna – spicca proprio per l’eterogeneità dei gruppi coinvolti.

Horskh

Gli Horskh, duo di Besançon, aprono la serata con un live ebm di inaspettata potenza che lascia tuttavia perplessi sulla scelta di un gruppo dai contorni non ben definiti in un contesto tutt’altro che dubbio. Con sintetizzatori, macbook e microfono, Bastien mette in scena basi electro-dark acide e pompate, molto lontane dalle oscurità industrial così come dal minimalismo techno, accompagnate da una voce pop-rock e movenze sul palco decise, passando dalla sua postazione al pubblico a suon di salti, indubbiamente infervorato da un substrato danzereccio che però non convince. Lo accompagna Briou, già batterista nei Black Code (gruppo crust-core sempre di Besançon), con una ritmica semplice che avremmo visto più appropriata per una drum machine. La batteria dà una figuratività rock alla band, ma si tratta di una scelta tradizionale che di fatto non apporta nulla di particolarmente ricco a una musica tra l’electro-pop dallo strobo perenne e il metal dagli alti volumi. Molto fumo, molta scena e molta teatralità: una band che sarebbe stata sicuramente più apprezzata in festival che rappresentano la scena dark da un punto vista più ampio.

Blockheads

I Blockheads riassestano la situazione a schiaffoni. Gruppo cardine della scena grindcore francese, attivi dal ’92 e ancora carichissimi, propongono This World Is Dead, album uscito nel 2013 dopo il sodalizio con Relapse. Portare un’attitudine hardcore delle più sincere in un contesto dove non tutto il pubblico ne è partecipe può essere rischioso, non tanto per ragioni di contrasto quanto di incomprensione da parte di chi non è familiare con il rapporto musica-prendere posizioni, ma la band non ha sicuramente questo timore e non scende ai compromessi di un festival tranquillo. Sul palco ci sono dei veterani (e i segni si vedono tutti), anni di concerti in cui lo spazio libero si distrugge appena attacca la batteria e parte un massacro di gomitate, stage diving e lattine di birra che volano. L’intenzione di ricreare lo stesso ambiente amichevole e animalesco dura per tutto il live, ma la gente è restia, eccezion fatta per un piccolo gruppo scatenato. Nonostante la risposta scarsa, i Blockheads attaccano con un’infinità di tracce brevissime di batteria e chitarra inferocite, i pezzi schizzano come schegge in successione, e tutti vengono anticipati da un’introduzione sui contenuti dei testi (le motivazioni di cui sopra). Una musica compatta, dura e coerente, che spazza via ogni dubbio sul passaggio a una grossa etichetta. E comunque, “Noise, Not Music”.

Godflesh

È chiaro che il pubblico francese sta quasi unicamente aspettando i Godflesh nella loro unica data a Est del paese. La musica attacca senza preamboli e la chitarra a otto corde di Broadrick lascia intendere che A World Lit Only By Fire sarà colonna portante. Così come a Roma, “New Dark Ages” apre un live intenso, magnetico, ridotto all’osso negli attributi superflui. Sul palco, Green e Broadrick sono così distanti visivamente che sembra stiano suonando per se stessi, l’uno quasi immobile, l’altro così frenetico che attacca a cantare in ritardo. Dare una dimensione spaziale alla musica è un requisito fondamentale di un live, ma farlo restando drammaticamente aridi è da pochi. I Godflesh ci riescono. I muri di suono si alzano in fretta, eretti da una drum machine potente e da riff crudi che segnano vari pezzi dell’ultimo album, tra cui “Towers Of Emptiness”, ritmo feroce che va degradando in una lentezza esasperante, esempio di come ciò che su disco risulta piuttosto monotono, in versione live riesca a trasmettere qualcosa di più. Non possono mancare le alienazioni del passato: “Christbait Rising” e il finale con “Like Rats”, otto corde o meno, non lasciano spazio ai dubbi emersi col nuovo lavoro.

Quando la potenza accumulata da una band in anni di concerti, registrazioni e vita on the road trasuda da un live in modo così copioso, indipendentemente dalla location, non si può che assistere un po’ inermi alla sua espressione e sperare che tutto questo continui. L’Impetus Festival ha dato spazio a chi ha strada da percorrere e ha messo una corona sulla testa di chi continua a marciare.

Le foto sono di Maeva Schamberger, che ringraziamo.