I dischi di Flamingo: Screaming Trees (e due parole su Bandcamp/Epic Games)

Dopo mesi e mesi passati a parlare male dei servizi di streaming, altra notizia: il caro Bandcamp, oasi felice della vendita di dischi in modo indipendente, è stato acquistato dal colosso Epic Games, che per i ragazzi di oggi è sinonimo di Unreal Engine e Fortnite, mentre per me, che sono più attempato, ricorda i giurassici Epic Pinball e Jazz Jackrabbit (ovviamente Epic Games è anche proprietaria dell’omonimo store online di videogiochi). Il problema di queste acquisizioni è che non si sa mai cosa succederà nel futuro sebbene entrambe le parti abbiano dichiarato che in buona sostanza non cambierà nulla per nessuno. Certamente però l’aver caricato di musica una piattaforma i cui padroni un domani saranno nel magico mondo del multiverso inquieta un pochino gli artisti che vorrebbero mantenere una reale indipendenza e che non sanno ancora se e in che modo verrà utilizzata. Vorreste essere un misantropo artista black metal che un domani si ritrova con la propria musica scaricabile tra i DLC di qualche videogioco? Forse la maggior parte sarà contenta, ma tanti altri no. Occhi aperti, quindi.

Indagando un pelo più a fondo scopriamo che c’è una lotta in corso fra Epic, Apple Store e Google Play. Di cosa si tratta? In sintesi Epic accusa gli altri due giganti di prendere troppi soldi in commissioni riducendo di fatto un suo potenziale guadagno grazie alle microtransazioni di Fortnite. Quindi fondamentalmente Epic ha acquistato Bandcamp perché trattiene percentuali molto più basse (10-15% e durante i Bandcamp Friday nulla), dimostrando che si possono guadagnare lo stesso parecchi soldi. Questo indicherebbe che le commissioni degli store virtuali di Apple e Google sono esagerate (circa il 30%) e la speranza è che, tramite lotte di avvocati, si possano abbassare in futuro. Insomma Epic Games ha comprato Bandcamp con la speranza di poter guadagnare molto di più da Fortnite. Un gesto in parte nobile, in parte no. Come nella maggior parte della realtà odierna, non c’è mai un veramente buono o un veramente cattivo. Dentro di me, semplicemente, avrei auspicato di non diventare inconsapevole arma di una lotta fra multinazionali.

Screaming Trees

Tutto ciò viene totalmente ignorato dai nostri clienti amanti della fisicità a tutti i costi, quindi questo mese la morte di Mark Lanegan è stato ovviamente il discorso più gettonato. Oltre ad aver addolorato i cari vecchi grunger come il sottoscritto, ha determinato infatti la corsa all’acquisto dei suoi lavori. La pratica della “caccia al morto” è puntale e dal nostro punto di vista leggermente fastidiosa, ma inevitabile se si lavora in un negozio di dischi. Pensate che, quando morì David Bowie, per almeno due settimane non mi chiesero altro che suoi dischi. E pure quando si sciolsero i Daft Punk ci fu la caccia ai loro lavori! La cosa che mi ha stupito di più è stata vedere come finalmente siano stati venduti anche gli Screaming Trees, che di solito vengono snobbati da tutti. E pure qui su The New Noise, quando abbiamo parlato del movimento di Seattle, ce li siamo fumati. Per qualche motivo vengono dopo Pearl Jam, Nirvana, Alice In Chains, Soundgarden ma anche dopo Mudhoney, Tad, Truly… insomma… erano degli autentici loser! Quindi in questa occasione faccio un mini crossover di rubriche parlando brevemente di una band che è stata tra le migliori ad unire le chitarre urlanti e sognanti dei tardi anni Sessanta con le melodie ombrose anni Ottanta/Novanta. Il primo disco è di metà anni Ottanta e si intitola Clairvoyance, ma è dal successivo che dovete attivare le antenne. Vi aiuterò dicendo che la carriera dei fratelli Conner si divide nella fase SST e nella fase major. Quella SST è più grezza, maggiormente legata al revival psichedelico e vede la band prendere dimestichezza dei propri mezzi. Tra Even If And Especially When, Invisible Lantern e Buzz Factory consiglio senza indugio quest’ultimo. Da figlio degli anni Novanta, comunque, la mia fase preferita è quella dei dischi usciti per Epic (non quella dei videogiochi di cui sopra). Anche Lanegan e soci – come Mudhoney e Melvins – finirono nella trappola del contratto per tre dischi con una major e anche loro non sprecarono l’occasione e sfornarono album di alto livello. Il primo, Uncle Anesthesia, è forse il mio preferito, essendo a metà tra le stranezze dei precedenti con un sound più maturo che ascolteremo in seguito. Ma Sweet Oblivion e Dust sono oggettivamente tra i dischi rock più belli di tutti i tempi. Perciò quando in un negozio di dischi li troverete (in cd spesso a pochi euro) fateli vostri: non ve ne pentirete!

Ovviamente la carriera di Mark è molto più ricca, ma le sue prime mosse con gli Screaming Trees vanno assolutamente conosciute e sviscerate da ogni appassionato di musica. Con flanella o senza. Ma uno strato di flanella fa sempre bene.