HUMANOIRA, Fedeli Alla Linea

HUMANOIRA, Fedeli Alla Linea

Sentire la voce di Wanna Marchi che introduce un album intitolato Fedeli Alla Linea fa un effetto a dir poco strano, come se a presentare Quark ci fosse Tirzan di “Eccezzziunale… Veramente”: è divertente e inquietante allo stesso tempo.

Missione compiuta fin dal primo istante, quindi, per l’ultima uscita degli Humanoira, il cui scopo è chiaramente quello di far aggrottare la fronte all’ascoltatore, riuscendoci nel modo meno scontato possibile. Il secondo disco della band livornese è uscito per Seahorse Recordings ed è distribuito da Audioglobe, a sette inverni di distanza dall’esordio L’Arte Di Sciogliere la Neve (Snowdonia Records, 2008). La linea a cui essere fedeli non è più quella rivoluzionaria e forse salvatrice dei CCCP, piuttosto quella “della pancia”, come suggerisce la Marchi in apertura. In Fedeli Alla Linea la band riflette sull’amara vittoria dell’apparenza sulla morale ma non cade in facili recriminazioni retoriche, o prediche, puntando invece sull’ironia e il capovolgimento di frasi e generi. Il paradosso è re in tutte i dodici brani dell’album, i cui testi tracciano paesaggi oscuri, immagini distorte, pensieri schizofrenici. In mano a un cantastorie uscito direttamente da un “Musicomio” il significato delle parole non è più lo stesso, mentre tra il valzer di “E Allora Senti Cosa Fo’”, il ritornello-filastrocca di “Acari Cari” e il punk-folk de “Il Re Fasullo” emerge sia l’originalità dei contenuti, sia l’omaggio alla migliore tradizione del cantautorato italiano, da De Andrè a Silvestri, passando per De Gregori.

A completare il quadro la voce di Riccardo Vivaldi, che rende tutto amaro, tutto brillante, tutto sentito, grazie anche all’esperienza a metà tra teatro e musica dei primi anni di Humanoira: si individuano persino richiami alla posa teatrale di Carmelo Bene, tanto quanto rimandi alle interpretazioni di Giorgio Gaber o Rino Gaetano, passando per l’acidità che spesso contamina il cantato di Manuel Agnelli. Questo è un album sporco, disilluso, tagliente, eppure permeato di una vitalità che porta l’ascoltatore a esserne rinvigorito: un ottimo lavoro, che avrà modo di esprimersi soprattutto quando sarà portato sui palchi, col sudore del pubblico e la speranza che i musicisti rimangano sempre fedeli alla linea, quella vera, qualunque essa sia.