Gigi Masin: il live a Cervia e un’intervista

Ravenna, Molo di Cervia, 25 luglio 2021. Foto di Chiara Pavolucci.

Nel sottobosco culturale romagnolo è raro imbattersi in eventi che hanno il coraggio di distaccarsi dal principale flusso musicale. Ci vogliono ambizione e una sterminata passione priva di pretese, se non quella di vedere i partecipanti e gli artisti arricchirsi di esperienze ed emozioni irreplicabili. In questo caso, grazie ad “Elementi”, una rassegna musicale dedita alla ricerca contemporanea curata da Magma e MU, due associazioni del territorio, è stato possibile assistere al live di Gigi Masin al molo di Cervia. Performance assolutamente di spicco che ha confermato le grandi qualità artistiche di Gigi.

È buio, sono le 5 di domenica mattina ed ancora non albeggia. A Cervia, nel molo, si intravede un piccolo faro alla fine di una lunga lingua di cemento che accompagna il canale fino al suo sbocco sul mare. Quattro colonne di una trentina di sedie ciascuna appaiono lentamente con i primi bagliori. L’ingresso è rigorosamente gratuito, la vista è quella del mare aperto, imponente, sterminato.

Gigi Masin è da sempre un innovatore intraprendente, fin dai suoi esordi negli anni Sessanta con le radio libere per poi passare al teatro, ai documentari per la RAI e alla sperimentazione sonora con il primo album Wind di metà Ottanta. Visionario che passa inosservato inizialmente, attira l’attenzione nei decenni successivi grazie alla raccolta Talk To The Sea dell’etichetta olandese Music From Memory e a numerosi campionamenti da parte di artisti di ogni genere tra cui Björk (“It’s In Our Hands”). Nei primi decenni degli anni 2000 forma i Gaussian Curve con Jonny Nash (con il quale parteciperà ad una residenza alla biennale di Venezia nel 2017) e Young Marco. Nel 2020 esce il suo nuovo album solista Calypso.

Gigi appare sulla scena alle cinque e mezza, il mare alle spalle, un paio di Mac su una cattedra sono pronti a trasformare in musica il linguaggio marino attraverso il flusso emotivo di Masin. I layer di sintetizzatori sono tappeti morbidi, tiepidi, che avvolgono la notte mentre siamo ancora sospesi tra il sogno e la veglia. Il suono che si propaga nell’aria acquista un simbolismo autoctono dato dall’ambiente circostante, aggiungendo colori, atmosfere e percezioni che trascendono il classico ascolto. I luoghi, in questo caso il mare e l’ambiente portuale, sono parte stessa della musica che ne riempie gli spazi in un tacito accordo. I ragazzi che organizzano la rassegna “Elementi” lo sanno bene, tanto che sono riusciti a creare la possibilità di un dialogo perfetto tra le due parti. Noi ascoltatori passivi non dobbiamo fare altro che lasciarci trasportare dal momento. Masin accompagna con la sua musica il nascere del sole che divide il mare dal cielo, i gabbiani, l’infrangersi delle onde negli scogli ed i pescherecci che prendono il largo sono parte stessa della performance. Quello a cui si assiste è unico, la colonna sonora perfetta di un quadro cangiante. Si rimane estasiati, ridotti alle minime funzionalità fisiche. Gigi ogni tanto si gira come se fosse compito suo l’alzare il sole dal mare ed è magnifico vederlo sorpreso da tanta bellezza. A fine concerto ancora sospeso tra le sue note ho il piacere di fare due chiacchiere con lui:

Innanzitutto com’è andato il concerto?

Gigi Masin: Io cerco sempre di divertirmi, non faccio mai le cose in maniera che siano automatiche, lasciandomi sempre delle sorprese. Bello qua il posto, incantevole, assolutamente incantevole, poi i ragazzi sono splendidi.

Che rapporto c’è tra la tua musica e l’ambiente?

Io sono nato in un luogo in cui la natura e il mare la fanno da padroni e sono cresciuto tra le onde, ho navigato, ho fatto vela. Per me è importantissimo mantenere un rapporto con l’acqua e ogni volta ne rimango affascinato. Credo di avere una visione abbastanza aperta ma sto molto meglio con la natura. La melodia a volte è un linguaggio, riesci a trasmettere quello che provi in maniera più facile se riesci a capire questo linguaggio, ad incontrarlo.

Quindi c’è questo rapporto di amore con il mare, diciamo…

Più che altro è di attrazione. Avendo navigato eccetera, per me è proprio necessario. Non riesco a vivere in una città dove non c’è il mare. Ogni tanto devi venire qui, trovi la tua pace, che sia bel tempo o che sia brutto tempo è lo stesso. Io credo che, per tutti quelli nati in riva al mare, sia una condizione naturale, un equilibrio che ti porti dietro. Non riesci a vivere in un posto lontano. Ti viene la nostalgia e devi sederti sul molo, ti appartiene e non se ne va.

Nella tua musica c’è questa influenza?

Sono sicuro di essere condizionato da questo modo di vivere la mia città che consente di esprimermi senza nessun artifizio. Non è che ti siedi e dici “sì, adesso lo faccio”. Viene e viene. Me ne rendo conto e me lo dicono, quindi evidentemente questo connubio riesce in modo naturale, senza nessuna fatica, senza decisioni.

Hai collaborato con Jonny Nash alla Biennale di Venezia nel 2017. Cosa mi sai dire a riguardo? E sui Gaussian Curve?

A me piace molto suonare a Venezia, solo che non ci si riesce per motivi politici e ambientali. Non c’è un’apertura verso i musicisti del luogo, specialmente quelli che girano il mondo come faccio io. Il padiglione francese alla biennale mi aveva chiesto di andare lì per 3 giorni a suonare tutta una serie di strumenti. Era un posto bellissimo, una sorta di studio acustico tutto fatto col legno. Fatalità Jonny Nash doveva venire a trovarmi, per cui siamo stati 3 giorni lì, abbiamo suonato e abbiamo registrato, ma l’idea di fare il disco non c’era. Poi hanno chiesto a Johnny se voleva far pubblicare un disco d’arte e lui ha ascoltato delle cose e mi ha detto “ma… se pubblichiamo quelle registrazioni?”. E io gli ho detto “sì, guarda sarei felicissimo”. Sono belle, riflettono quel momento lì.

Gaussian Curve è un’altra bella cosa. Mi hanno mandato ieri una foto con Jonny e Marco che si son trovati, vivono tutti e due ad Amsterdam. Penso che faremo qualcosa perché sai, ci si vuole un gran bene ma un pò il covid, un pò cambi le etichette, se non è domani è dopodomani. C’è affetto ed è una cosa rara nel mondo della musica. Se vuoi collaborare o c’è rispetto o c’è affetto. Se c’è un rapporto professionale spesso è stucchevole, invece con loro è sempre divertente sempre bello.

Calypso è uscito nel 2020, com’è nato?

C’era necessità di fare un disco nuovo e il desiderio di raccontare qualcosa. Mi avevano suggerito qualcosa, a me piaceva molto l’idea dell’isola, di raccontare un po’ questo percorso di Ulisse. Perché, in effetti, è proprio il nostro percorso e mi piace questa metafora. Il tema di Calypso è che spesso dimentichiamo qual è la funzione dell’amore e dell’affetto nella nostra vita, che condiziona, che ci fa fare delle scelte. Costringe a dei percorsi che non erano considerati e sì: io l’anno precedente avevo passato diversi mesi a fare solo quello e devo dire che sono venuti fuori un centinaio di pezzi. Non smettevo più di suonare. Forse un disco doppio è impegnativo, anche se in effetti era una bella occasione. Poi la pandemia e tanti altri problemi… Calypso poteva fare molta più strada. Fai i dischi e poi i dischi fanno la loro strada, per cui non si sa mai, magari tornano un giorno e ti sorprendono. È impressionante come la musica gira, adesso gira da morire.

Diciamo che i social sono molto utili per questo.

Sì, ti arrivano dei feedback da gente che vive in posti sconosciuti. A Venezia si direbbe “in mona della Madonna”, proprio lontani, dai Caraibi…

Son soddisfazioni.

Sei nudo, fai le cose però le devi fare in una maniera che poi non sono più tue. Son perse perché sono in mano alle persone che ascoltano, per cui deve essere un qualcosa che viene da te, che ti rappresenta, che abbia un senso di sincerità. C’è l’affetto ma anche la severità di ascoltare delle cose e di farsele proprie. Se fai musica perché ti piace o perché è un tuo linguaggio poi trovi il linguaggio degli altri ed è una cosa incredibile che va oltre l’idea di fare il musicista. È il lato che desidero di più. Mi dicono “madonna ho pianto con sto pezzo”, “questo pezzo mi ha tenuto su”; son responsabilità. Ne sono atterrito, ma mi rendo conto che poi entri nella vita degli altri e lo devi fare con rispetto e quella cosa che fai non è più tua.

Beh, perché alla fine la musica si lega molto alle emozioni e le emozioni son comuni a tutti…

Sì! Non ti appartiene più. Cerco sempre di fare cose nuove e non ancorarmi a quello che ho fatto in precedenza, proprio perché poi mi sembra di citare qualcosa che non ha senso, perché è legata ad altre cose precedenti.

Come nascono i titoli dei brani?

Ah, vengono così. Decidono loro.

Quindi tu finisci di fare un pezzo e sai già come si chiama, senza averci pensato.

Sì! È lui che lo fa. Cazzo che titolo! No, no… non mi ci perdo. Non vado lì a ragionare. Quello che viene, viene, e di solito vengono sempre delle cose carine, sì (ride, ndr).

Ti volevo chiedere l’ultima cosa poi ti lascio andare. “The Bear On The Moon”, che non esiste più se non sbaglio, era la tua etichetta?

Sì, è un’etichetta che mi è servita per pubblicare Wind con tanta fatica, 200 secoli fa. Diciamo che è tacente, ogni tanto penso “dai pubblico qualcosa”, ma è sempre un problema economico.

Con un prospetto positivo pensi a materiale tuo o anche altro?

Avrei piacere di dedicarmi ad altra gente, perché ho prodotto dischi jazz in passato per la Saint Amo. È una parte di me importante. Essendo fondamentalmente un dj radiofonico, che non può più farlo e fa la musica, l’idea di produrre delle cose… madonna… mi piacerebbe da matti! È solo un problema di soldi, alla fine.

Sempre quelli.

Sì! Prima o poi qualcosa viene fuori.

Ultima domanda poi ti lascio davvero, come lo vedi il futuro con questo virus, che impone un po’ di fermare tutte le attività?

Vedo che c’è molta confusione. C’è sicuramente qualcosa di detto e non detto. Con la peste ed il colera l’umanità c’ha veramente avuto dei grossi problemi. Non sto dicendo che fa parte della vita, sto dicendo che è una situazione di cui non conosciamo bene i contorni e si sta scaricando sulla gente creando ansietà, dubbi e problemi. Non è una cosa facile. Ha sicuramente colpito molte persone. È stata ed è ancora veramente letale. Ha condizionato e condizionerà ancora ma sono sicuro che ne usciremo e spero anche che rimanga qualcosa di positivo nell’idea dei rapporti con gli altri. Sono sicuro che l’uomo troverà sempre la chiusa per queste situazioni. Non sono spaventato, son preoccupato. Ho due ragazzi di 16 anni, per cui ci penso.