Franco Leprino e Integrati… Disintegrati

– Chi sono? – domandò Milena, indicando il disco che girava sul piatto.
– È uno solo, – disse Jimmy, le mani impegnate a scaldare hashish.
– Si chiama Franco Leprino.  L’album s’intitola Integrati puntini puntini disintegrati.
– C’è scritto proprio “puntini puntini”? In lettere?
– No, meine liebe, coi tre punti… Com’è che si dice?
– Di sospensione.
– Ecco. E quella sospensione è importante, perché così il titolo vuol dire tante cose. Ti piace?

(Wu Ming, Ufo 78, Einaudi 2022, p. 317)

Anche nel mondo della musica sono stati avvistati degli Ufo, che uno ci creda o no. Alcuni di questi attendono anni, decenni, persino secoli prima che gli incerti sensi umani si abituino alla loro presenza. Nella maggior parte dei casi è un atto di fede. Così come esistono dei veri e propri culti attorno a ipotetiche forme di vita extraterrestri, anche alcuni album hanno ricevuto simili cerimonie, pure se, in fondo, un album è un bizzarro organismo autosufficiente, che vive e si riproduce facendo a meno dei suoi ascoltatori. Per questo gli ascoltatori li adorano come fossero antiche divinità ctonie. È il caso di Franco Leprino, egli stesso sorpreso da tale fenomeno di riscoperta. Non importa quante volte uno possa ascoltare Integrati… Disintegrati (uscito nel 1977 per la Eleven di Aldo Pagani, poi ristampato), si troverà sempre a chiedersi da quale lontano pianeta provenga. Io continuo a credere che non sia il nostro. Dove potremmo collocare tale oggetto volante non identificato nel panorama della musica italiana (o persino internazionale)? Concettualmente, forse, vicino a Dialoghi Del Presente, prima e ultima opera del compianto Luciano Cilio, o a Sonanze di Roberto Cacciapaglia, o magari ai primi due lavori di Battiato. Del resto, appartengono alla stessa epoca, quella dei nostri Anni di Piombo. Non a caso, l’album di Leprino ha avuto una breve ma importante apparizione nell’ultimo libro dei Wu Ming, che assieme a Piove all’insù è sicuramente una delle rappresentazioni letterarie più affascinanti di quel periodo storico ancora così controverso e irrisolto. Sono, tuttavia, paragoni futili. Integrati… Disintegrati rimane una realtà a sé stante, capace di continuare a sorprendere a ogni nuovo ascolto. A sorprendermi è stato anche sapere che Francesco è di origini siciliane (è nato a Ficarra, in provincia di Messina) come il sottoscritto. Perciò mi sono messo in moto, con la convinzione che sia l’autore che l’opera meritassero più visibilità e riconoscimento, nonostante i decenni di distanza da noi. Francesco si è mostrato molto aperto, paziente e gentile, e mi ha concesso quest’intervista, che ho deciso di far pubblicare.

Com’è nato Integrati… Disintegrati? 

È frutto di un periodo di transizione nella mia vita. Allora, come tanti all’epoca, suonavo come chitarrista in diversi complessi rock. Ben presto, però, mi stufai del rock, era un linguaggio che non sentivo più mio, avevo bisogno di un cambiamento radicale. Ero un ragazzo di ventidue anni che aveva usato quel mezzo per sfuggire a un ambiente che gli stava stretto e per avere un’occasione di prendere il volo, mentalmente e fisicamente, verso un altrove che mi consentisse di capire meglio chi ero.

Ascoltandolo ho avvertito delle influenze mediterranee sui suoni, soprattutto nelle parti di chitarra. È presente, in qualche modo, la Sicilia nella composizione dell’album? 

Non saprei. L’album è stato composto quando studiavo ancora all’Università di Messina, ma è stato poi registrato a Milano, dove vivo tutt’ora, e prodotto da Aldo Pagani (lo scopritore di Astor Piazzolla). Se la Sicilia c’è, probabilmente è soltanto a livello inconscio…

Chi sono gli Integrati e i Disintegrati? 

Com’è facile intuire, il titolo riflette molto i cambiamenti e le rivoluzioni che c’erano nell’aria a quei tempi. Nel 1977 ero ancora uno studente universitario, dunque sono stato testimone e protagonista di quegli eventi. Ricordo di aver dato ai miei la copia di un libro chiamato Uccidi il padre e la madre! (ride, ndr). In quegli anni molto turbolenti vedevo chiaramente da una parte gli Integrati e dall’altra parte quelli come me, i Disintegrati, coloro che non riuscivano e non volevano adattarsi.

Dunque le contestazioni giovanili del ‘77 hanno influito molto sulla composizione della musica? Potremmo definire la tua musica politica? 

Certo che hanno influito! Sono sempre stato di sinistra e antifascista. E la musica aveva anche una funzione politica.

E questa dicotomia Integrati/Disintegrati si riflette anche sui suoni… 

Sì. Nel mio approccio compositivo ho voluto manifestare queste contraddizioni con alcuni passaggi volutamente disturbanti. Puoi udire il pianto di un bambino e anche i rumori di una folla inferocita. Accanto a una melodia dolce ci sono suoni più freddi e desolati. Tecnicamente parlando, poi, faccio uso anche della dodecafonia e del minimalismo. Largo uso di quello che in musica viene chiamato “ripetitivo”.

Quali sono state le tue principali influenze musicali? 

Compositori come Stockhausen, Cage e Berio. Il minimalismo. La dodecafonia. C’è anche l’influenza dei Cosmic Couriers tedeschi. Poi la presenza di strumenti classici come chitarre classiche, acustiche ed elettriche, oboe, vibrafono, flauti e pianoforte, oltre a strumenti elettronici, compreso un VCS3 che mi aveva venduto Franco Battiato.

Hai conosciuto Battiato? Che opinione avevi di lui? 

Lo preferivo più come sperimentatore che come autore di canzoni.

Com’è stato accolto, alla sua uscita, Integrati… Disintegrati? 

Ho ricevuto commenti positivi. Tantissime persone negli anni mi hanno scritto ricordandomi di questo lavoro che io, comunque, reputo un mio “peccato di gioventù”. È stato sorprendente sapere che nel tempo è stato riscoperto in vari modi. Non mi aspettavo di certo tanto riconoscimento.  Mi riferisco anche alle numerose recensioni in Rete e alle sue apparizioni sui libri antologici sul progressive rock. Ha avuto persino quattro ristampe, sia in cd, sia in vinile! Vedere che un lavoro fatto quasi mezzo secolo fa riverbera ancora oggi i suoi effetti, oltre che rendermi orgoglioso, accresce la mia convinzione che la musica, che reputo l’unico linguaggio trascendente, abbia dei poteri che non controlliamo, e che vanno oltre le nostre intenzioni.

Immagino che sia ovvio chiederti: avremo un altro album, prima o poi? 

Credo proprio di no! (ride, ndr) Un secondo album in realtà era in preparazione per la Cramps, ma non è poi stato pubblicato in seguito alla morte di Gianni Sassi, che era il fondatore della casa discografica. Puoi comunque ascoltare quelle composizioni su “Franco Leprino -1977-1987 Original Versions”, un cd stampato da Giallo Records nel 2009, che include naturalmente anche Integrati… Disintegrati”.

Come mai non hai continuato la tua carriera musicale? 

Semplicemente perché la mia musica non avrebbe davvero un mercato. È troppo lontana dalle richieste del pubblico. Quando produco qualcosa lo faccio e basta, senza pensare alle vendite. C’è comunque un collegamento tra Integrati… Disintegrati e i miei lavori attuali in altri campi. La mia sensibilità è rimasta immutata e la musica è sempre al centro del mio lavoro. Continuo a fare quel che mi piace.

Di cosa ti occupi adesso? 

Tengo dei corsi all’Università degli Studi di Genova, scrivo su alcune riviste di settore. Ma soprattutto mi interessa l’audiovisione, il rapporto tra suono e immagine. Come filmaker ho prodotto e fatto la regia di numerosi documentari su musicisti del passato e contemporanei, tra questi uno in Spagna su Domenico Scarlatti, uno a Cuba, un altro in Germania su Bach. Adesso invece ne sto producendo uno in Islanda, terra di cui mi sono innamorato già da anni.

Che reazione hanno ricevuto i tuoi film? Sono stati acclamati? 

Acclamati è un parolone! (ride, ndr) Sono comunque stati ben accolti e continuano a essere proiettati e trasmessi su Sky Classica e su Rai 5. Puoi vederli anche su Vimeo. Non è semplice collocare i miei lavori, non sono necessariamente accessibili al grande pubblico, e comunque non m’importa che lo siano. Nel mondo musicale, però, sono molto apprezzati e mi riconoscono una precisa originalità. Qualcuno li apprezza, e questo mi riempie di gioia. Ricordo, in un racconto dello scrittore giapponese Murakami, di questo proprietario di un piccolo bar che era felice di sapere che anche un solo cliente preferisse il suo locale. Ecco, io mi sento come quel barista.

A proposito di letteratura, i Wu Ming in “Ufo 78” hanno citato il tuo album. Uno dei personaggi dice: “Trovo l’idea di musica che ha Leprino molto vicina all’ufofilia”… 

Mai creduto negli Ufo. Sono un positivista! L’interpretazione è sempre nella mente di chi interpreta. Quindi sempre giusta, come direbbe John Cage. Ma posso capire che i personaggi di quel libro lo pensassero.

Quindi mi confermi che non ci sono state entità extraterrestri coinvolte nella realizzazione dell’album? 

Non ci sono extraterrestri. Anche se l’inconscio può vagare per l’universo…

Un’ultima domanda: ti consideri ancora un Disintegrato… o ti sei Integrato?

Disintegrato, ma che agisce nel sociale per cercare di cambiarlo! Da sempre. Guarda, ho settant’anni, ma è come se ne avessi ancora diciotto! Sono ancora un ragazzo, con tanti nuovi progetti…