CHRISTINA VANTZOU, No. 4

Pazienza.
No .4 di Christina Vantzou sviluppa una specie di terrificante intensità attraverso minimi cambiamenti. È come se fosse stato composto da una mosca mentre nello stesso angolo aspettava da ore la chance di precipitarsi a catturare la sua preda. Il ronzio sottile del vibrafono, le note sostenute della voce, l’occasionale scintillio dei campanelli. Ci fa aspettare, un effetto che funziona come un anti-effetto, come se fossimo costretti ad arrenderci alla musica. Con “Doorway” Vantzou mette note prolungate assieme a sporadiche e imprevedibili melodie, creando tramite frequenze leggermente diverse quell’intensità di cui si parlava all’inizio, generando il sentimento del perturbante. Quest’abbandono, questo rilassarsi di fronte a qualcosa di imprevisto, e la scomposizione delle solite aspettative convenzionali sono ciò che ci induce a fantasticare e che rende piacevole quest’album.

No. 4 fa in modo che chi ascolta si guardi dentro, ma non è melanconico, almeno non in senso classico. È come trovare conforto nell’oblio, nella lentezza del tutto. Vantzou dice che è influenzata dal sonno e dagli stati al confine tra sogno e realtà, e in quest’album lo si sente. Quasi ogni singola nota è pesantemente ponderata. Il drone è denso e scuro, come l’aria che è molto pulita ma molto leggera. In “Staircases” c’è un effetto “Mickey Mousing” in decrescendo, che evoca l’immagine di un lasciarsi rotolare con delicatezza giù dalle scale. In “String Quartet” si percepisce la lentezza non come depressione, ma come una progressiva resa, con le note che indugiano e il tempo che si dilata mentre noi rinunciamo a indovinare il prossimo suono, lasciamo che ci sorprenda.

La dolcezza di “Staircases” si trova anche in “Some Limited And Waning Memory”, nella quale le melodie di piano sono accompagnate da cori eterei anziché dagli archi. “Percussion In Non Space” è una traccia molto corta con brevi frasi che ricordano il compositore polacco Gorecki, soavi sequenze melodiche che sembrano disconnesse, come lo sarebbe il suono delle campane nello Spazio. Tutto l’album sembra infestato, quasi fosse percorso da fantasmi che spariscono e cambiano aspetto di continuo. L’unica traccia ad avere effettivamente un ritmo, “Garden Of Forking Paths”, costruisce quest’idea di soprannaturale con una forma di percussionismo risonante, come una eco proveniente da un tempio lontano.

Nell’insieme, l’album è sereno, calmo, e profondo. Non ti rifila schemi prevedibili, ma ti tranquillizza e ti predispone ad accettare ciò che arriverà, si tratti di cavalieri senza testa, volare via con un tappeto o sprofondare piano piano, irresistibilmente, nel torpore.