C’è tutto un mondo sotto il letto. Intervista a Stefano/My Dear Killer

MDK

Boring Machines sorpassa i dieci anni di attività e li celebra facendo uscire, tra le altre cose, un disco come Clinical Shyness di My Dear Killer, il primo passo per l’etichetta di Castelfranco Veneto. Danno una mano la stessa Under My Bed e l’encomiabile Old Bicycle Records. Una cooperazione necessaria per riportare alla luce un album pensoso e vivo come pochi. Non potevo farmi sfuggire l’occasione di interpellare il diretto interessato.

Mi dici cosa c’è sotto questo benedetto letto, tanto da utilizzare l’idea per il nome della tua etichetta? Fuor di metafora o meno… Raccontami anche perché e con quali obiettivi nasce la Under My Bed.

Stefano: Io e Marco decidemmo di mettere in piedi Under My Bed una quindicina di anni fa. In quel particolare periodo si stava formando – forse esisteva anche prima, ma noi ne eravamo venuti in contatto soltanto allora – un sottobosco di progetti a noi molto affini, soprattutto per attitudine, aventi come tratto comune quello di essere registrati e sviluppati in sostanziale autonomia e in maniera diciamo “casalinga”. Di solito lo spazio per queste cose lo si ricavava per lo più in cameretta. E dove si può trovare posto in una cameretta già molto affollata se non sotto al letto? Da lì il nome dell’etichetta, e per rispondere alla prima domanda, sotto al letto altro non c’è che un sacco di cianfrusaglie. Mi permetto un piccolo excursus, ma una quindicina d’anni fa, rispetto ad ora paiono quasi un secolo: Internet era agli albori, almeno qui in Italia, di piattaforme come Bandcamp o Soundcloud o YouTube, o quel che si vuole, non ce n’era nemmeno l’ombra, nemmeno del vetusto MySpace. La maggior parte delle comunicazioni avvenivano ancora per via epistolare. Le registrazioni erano fatte quasi esclusivamente su registratori a cassetta, o altri sistemi abbastanza semplici. Se si fa un confronto col presente, quando con un computer standard e una scheda audio si possono ottenere risultati quasi professionali, la situazione era molto diversa. La mia impressione è che, in generale, l’idea è ancora molto legata ad un idealizzato mini-mainstream, con demo realizzati in sedicenti studi, sedicenti produttori, e da sedicenti etichette spesso con l’equazione un gruppo/etichetta (fantasma). Pertanto, il fatto di “prodursi” in maniera completamente indipendente un demo, disco o quel che si preferisce, era all’epoca molto meno comune di quello che può essere nel presente. Ed era anche un tratto molto più distintivo. L’idea di Under My Bed era, e di questo ora mi rendo meglio conto a posteriori, molto ambiziosa, ovvero quella di fare da casa comune per quei progetti che nutrivano lo stesso tipo di attitudine di base nei confronti di come fare musica, indipendentemente dal genere specifico. Anche se inevitabilmente è poi risultato che ci si sia focalizzati su alcuni generi. A ben vedere, Under My Bed è una sorta di residuo di archeologia industrial-musicale. La mantengo in vita unicamente per ragioni affettive e perché penso che alcune delle uscite, specialmente quelle collettive (come le compilation tematiche) o alcuni dei progetti a tema (come la serie Murmured Poetry) abbiano comunque un certo interesse, e non sarebbero state fatte dai singoli progetti indipendentemente. Questo è quello che vedo in primis come il nostro nuovo ruolo, quello di sobillatori di progetti a tema, se possibile sufficientemente strampalati.

La scusa per quest’intervista è il decennale di Boring Machines. L’etichetta di Onga dà il via alle sue pubblicazioni proprio col tuo disco di esordio, Clinical Shyness (che per la cronaca esce anche grazie ad altre piccole realtà discografiche). Come vi incontrate?

Ci incontrammo credo nei primi anni Duemila, la memoria esatta delle date, come di molte altre cose, è in pesante deterioramento… Onga organizzava dei concerti a Castelfranco Veneto, presso il Buenaventura. Ricordo che ci andammo in macchina ancora quando si usavano le buone piantine, io e Marco, e ci perdemmo plurime volte tra cavalcavia e rotatorie varie: da sempre maledetti imprecisi. Quella stessa sera suonarono oltre a My Dear Killer anche i Lorca, dei quali era uscito un ep per Under My Bed e un collettivo di Madcap se non ricordo male, comprendente tra gli altri anche Federico dei Father Murphy. Da allora siamo sempre rimasti in contatto con Onga, avendo un’attitudine simile nei confronti di molte cose, sia in ambito musicale che al suo esterno. Credo che allora avessi già finito di registrare Clinical Shyness e mi fossi da poco trasferito in Inghilterra. Il disco era rimasto in fase di latenza per molti anni, registrato, rimaneggiato, infilato e sfilato dai cassetti… dove sarebbe rimasto, se Onga non avesse preso in mano la situazione a un certo punto e non avesse organizzato una sorta di cordata da lui capitanata, e comprendente tra gli altri noi di Under My Bed e Alex di Eaten By Squirrels. Finalmente per me, ma non sono tanto certo per il mio prossimo, Clinical Shyness vide la luce. In quel momento Onga era ancora soprattutto impegnato nell’organizzazione di concerti, questa doveva essere una cosa quasi estemporanea. Invece, abbastanza rapidamente Boring Machines è diventata una delle etichette di riferimento, specialmente in ambito nazionale, ma con indiscusso rinascimento anche all’estero, almeno in un certo ambito. Mi pare di aver già detto una volta che la cosa più significativa legata a Clinical Shyness non sia il disco stesso, quanto il fatto che sia cominciata l’avventura di Boring Machines, con gli sviluppi che ha avuto e la possibilità che ha dato a molti progetti di raggiungere una visibilità altrimenti impossibile. Alla fine questo era anche l’obiettivo che Under My Bed avrebbe voluto realizzare, seppure già inizialmente su scala più limitata.

Il tuo modo di pensare e fare musica è direi “intimo” e “sofferto”, so che fa molto “cantautore drakeiano” o comunque non distante da certi autori più nascosti, un paio di nomi per tutti: Jandek e Jackson C. Frank. Non avevi modo di farlo diversamente, immagino… Quindi ritieni sia una sorta di necessità/bisogno esprimerti a quella maniera?

Penso, come dici, che la sonorità siano certamente funzionali al messaggio che si vuole trasmettere e ai temi che vengono trattati da un qualsivoglia progetto. Possono certamente esserci modi differenti per esprimere i medesimi concetti, ma per ragioni anche contingenti ci si trova in un determinato momento nello spazio e nel tempo, a scegliere una via piuttosto che un’altra. Difatti io sono giunto a delle sonorità, diciamo per usare un termine generico “folkeggianti”, quasi a ritroso, partendo da delle esperienze più che altro limitate al garage e nel raggio dei pochi chilometri dalla mia tana in brughiera in gruppi, se così si può dire perché mai s’è superato il numero di tre compari di sventura, fortemente influenzati, ma diciamolo, anche quasi dei plagiatori dello shoegaze e del noise. Come progetto My Dear Killer è cominciato suonando, per me, nella ricorsiva cameretta, quelle cose che ritenevo eccessivamente “melodiche” per gli altri gruppi con cui partecipavo all’epoca. Siamo nei tardi anni Novanta. Ho più tardi cominciato a pensare che potesse valere la pena registrare questi brani da “cameretta” e dare al progetto forma autonoma. Penso che, specialmente nei due lavori più completi, Clinical Shyness e The Electric Dragon Of Venus, si possa apprezzare la combinazione di questa sorta di attitudini, quella più intimista e quella più rumorista, solo all’apparenza contrastanti.

Sei una persona che se ne sta piuttosto in disparte, mi sembra di capire. In realtà ho sempre pensato che invece ti faccia piacere condividere opinioni ed essere in determinate situazioni, ricordo di quando ci incontrammo un paio di volte a Torino, se non erro per i concerti di Donato Epiro e dei Father Murphy…

Ma che io sia un semi-recluso o qualcosa del genere penso sia quasi una leggenda urbana… Di certo non sono né un grande chiacchierone né una persona estremamente espansiva. Starmene rintanato in brughiera non è necessariamente una scelta, ma una situazione dettata da situazioni contingenti. Ne avessi la possibilità, e in questo momento anche le forze, andrei a sentire qualcosa ogni sera o quasi, o altrimenti mi precipiterei presso qualche bancone di bar per vecchi. Quelle robe fighette scintillanti con molto plexiglas non sono cosa mia, invece. So che c’è chi non ci può credere, ma per un certo periodo l’ho anche fatto… Il piano, temo però di essere in ritardo, è di arruolarmi nella banda Vallanzasca, così da poter far venire meno le causa prima del “pendolarismo”: potrei ritornare a essere un animale sociale. In verità non amo le grandi adunate, gruppi di persone molto estesi, soprattutto non amo per nulla mettermi in mostra. Anche quelle poche volte che ho occasione di suonare, a me basta mettermi nel mio angoletto e suonare quattro pezzi, senza mettere in piedi grandi sceneggiate coreografiche. Ho l’impressione che quella che io in realtà vedo come una certa semplicità nell’approcciarmi alle cose, senza prendermi mai troppo sul serio (in inglese si direbbe credo understatement…) venga vista come ritrosia o altro. Concludo riallacciandomi alla domanda: Donato aveva fatto un set spettacolare.

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Quando incominci a fare musica e cosa ascoltavi quando eri un adolescente?

Se non ricordo male era intorno al 1990 o giù di lì. Io sono sempre stato un ascoltatore abbastanza stocastico. Escludendo qualche genere con cui non riesco per nulla a relazionarmi, direi che potrei definirmi quasi onnivoro. Ma certamente in principio i gruppi punk “classici” sono stati un ascolto dominante, passando per un periodo da metallaro (senza averne il look) prima di scoprire due ambiti da cui poi non mi sono mai separato, iniziando da Sonic Youth, Swans e via dicendo, e la controparte shoegaze: My Bloody Valentine, Slowdive, Ride e compagnia. Queste sono state certamente delle fulminazioni, quelle che ti “rovinano”, penso sia il termine corretto, l’esistenza. Ma direi che queste sono arrivate già in una fase abbondantemente post-adolescenziale. Quindi sto cercando di scampare alla domanda…

Per un certo periodo hai vissuto in Gran Bretagna. Perché questa decisione e cosa ti ha colpito, ad esempio musicalmente parlando, di quella terra? Immagino ti siano piaciuti anche gli Arab Strap, no? Confesso che ho pensato anche alla loro musica nell’ascoltare la tua…

In Inghilterra all’inizio sono andato per lavoro. Devo dire che in quel particolare periodo, stranamente per me, avevo delle alternative. Sarei potuto finire negli USA, ma decisi di andare invece in Gran Bretagna e non rimpiango la scelta. Ci sono andato senza mai averla visitata prima, ma conoscendo alcuni inglesi e scozzesi con cui avevo lavorato negli anni precedenti: m’erano sembrati dei bei personaggi. Nel complesso non mi sono per nulla sbagliato e, se ne avessi avuto la possibilità, sarei certamente rimasto a vivere lì. È una sensazione difficile da descrivere, ma anche quando tornavo brevemente in Italia durante quel periodo, poi, quando rimettevo piede Oltremanica, avvertivo il sentimento di essere a casa. Quando, troppo di rado, ci torno, drammaticamente avverto la stessa sensazione, ma di una casa che non è più mia. Gli Arab Strap mi piacciono moltissimo, ho sentito di voci di reunion. C’è da sperare che non sia una sbracata… In Inghilterra ho vissuto principalmente a Londra e Glasgow. La prima cosa che è impossibile non notare è la “quantità” di concerti e posti dove è possibile suonare presenti in qualsiasi luogo più grande di un villaggio rurale-pastorizio. Questo, a mio parere, è uno dei noccioli, la presenza di luoghi dove poter suonare. La seconda cosa è il fatto che, a lato di venue quasi “istituzionali”, si affiancano luoghi impensabili: il sotterraneo del pub, il retrobottega del ristorante cinese o indiano, l’interno di un cortile sotto un condominio, quasi in centro, dove ti chiedi, ma sono sicuro che sono veramente quei “McLusky” che sono venuto a sentire? Si, erano loro, ho preso trenta scarpate in un micro-secondo in una stanza tre metri per tre. Insomma si direbbe: ma sono dei grandi cazzoni? Tutto vero, però nell’allegra (dopo opportuno numero di pinte) anarchia… Un’anarchia produttiva e un’assenza di menate pseudo-esistenzialiste, stagioni pseudo-artistiche e cavolate di tale risma che tendono a strozzare molto le cose in casa nostra (con le chiare e dovute, ma rare eccezioni). Terzo, la tolleranza del vicinato: nel mio paesetto di campagna due si possono squartare a colpi di alabarda o chiave inglese e certamente nessuno dice niente a nessuno, ma se suoni tre note su uno strumento a caso, stai sicuro che in dieci minuti arriva la gendarmeria. I miei vicini anglosassoni, una coppietta di quasi ottantenni, m’è solo venuta a chiedere se potevo moderare il volume il lunedì… perché leggevano la Bibbia. Io ho moderato il volume il lunedì, e quando mi saltava lo sghiribizzo di dare sfogo alle fiamme del feedback è stato sufficiente contenermi a dare loro fiato da martedì alla domenica. Non troppo male, non trovi?

Hai suonato da poco a Musica Nelle Valli. Personalmente non ci sono mai stato, ma un amico me ne ha parlato molto bene, descrivendola come una situazione molto “friendly”, dove restare ad ascoltare nel modo più rilassato possibile un certo tipo di musiche. Quali sono state le anime più affini a te in quel particolare contesto?

Sì, dove ho potuto usare l’amplificatore, anzi due (grazie a chi me l’ha prestato… ho già detto della memoria… l’ho detto) credo per la prima volta, o la seconda, da che sono ritornato in cosiddetta madrepatria. È la seconda volta che ho la possibilità di suonare a Musica Nelle Valli, in entrambe le occasioni e per “anniversari” di Boring Machines. Ci sarei onestamente voluto andare più spesso, anche solo come spettatore, perché prima di tutto il luogo dove si svolge è molto bello, nonostante la disgrazia dell’inagibilità del Barchessone dopo il terremoto. Inoltre è un’occasione in cui ritrovarsi con persone che si vorrebbe vedere più stesso, così come era stato per le prime edizioni del Tago Fest o del No Fest o del Rural Indie Camp. Infine l’ambiente è in generale rilassatissimo, e in questa ultima edizione m’è parso lo sia stato particolarmente. Avendo suonato in duo con Matteo (anche in My Shell e Nasten’ka) ed essendo un’occasione così rara da essere forse unica, di suonare Clinical Shyness in una maniera fedele al disco, accordature che si perdono per strada a parte (vedi risposta sulla “cazzonaggine”), posso confessare senza remore di essermi particolarmente divertito. Alle Valli, oltre che con la allegra combriccola della brughiera in gita aziendale, molto tempo l’ho trascorso con Onga, perché non ci si vedeva da una vita, con Attilio (Novellino), con non vedevo da altrettanto tempo e con coloro, non me ne vogliano… che io chiamo i “soci di sventura”, altre anime disperse del disordinato e poli-disperso universo musicale della penisola. Soprattutto dalla Marta, vero gente di Zena?

Torniamo a Under My Bed. Come scegli le pubblicazioni e quali sono le tue prossime mosse?

La verità è che non ho un criterio specifico. Ho verificato che al massimo riesco a far uscire tre-quattro cose all’anno, se voglio prendermene cura. Se ricevo una proposta e la cosa mi interessa è probabile che, in caso di assenza di fretta, essa prima o poi appaia per Under My Bed. Per esempio è il caso della split-tape uscita giusto qualche settimana fa tra Modern Day Monks/Matteo Uggeri & MDK. Sarah mi ha chiesto se ero interessato ad ascoltare un suo ep, che m’è subito piaciuto, ma che non era adatto ad essere spezzato in due metà (per il lati della cassetta). Dopo aver pensato per un po’ chi potesse essere interessato a partecipare a uno split (non volendo lasciare un lato vuoto), discutendone di fronte ad una crostata alla marmellata di Morte (alla carte), Matteo ha aderito con all’idea di combinarsi col sottoscritto estemporaneamente: così la tape fu fatta… La prossima uscita sarà di Lebenswelth, intitolata “Shallow Nothingness In Molten Sky”. In questo caso il processo è stato praticamente inverso. Quando Gianpaolo m’ha spedito un pre-mix del disco, ed essendo che il suo un progetto mi sarebbe piaciuto averlo “prodotto” già dieci anni fa, gli ho chiesto io se poteva essere interessato a farlo uscire nelle micro-tirature caratteristiche di Under My Bed. Ricevuto l’assenso spero di riuscire a finalizzare l’uscita nel giro di pochi mesi…